Siria: sapremo essere “artigiani di pace”?

La mia piccola missione in terra siriana con il nuovo responsabile di Sos cristiani d’Oriente Italia Sebastiano Caputo, si è inserita nel contesto della grande preghiera per la pace voluta da Papa Francesco, il quale come segno di riconciliazione ha acceso – su proposta di Aiuto alla Chiesa che Soffre -, in contemporanea con tanti fedeli siriani e del mondo, la candela della pace. Lungo la strada per Damasco, tutto è in perfetto ordine. Che meraviglia entrare nella città simbolo della lotta al terrorismo. Chissà quante storie di resistenza e di fedeltà sono custodite nelle luci che si intravedono dai palazzi e dalle abitazioni. Nonostante il mainstream in Occidente ci ha abituati a pensare ad una situazione disastrosa senza via d’uscita, con i miei occhi mi sono accorto dell’inganno globale cui siamo spesso vittime. I luoghi di culto cristiani e musulmani sono vicini, quasi a dire che la fede unisce, e non divide. Attraversando Damasco, città arricchita dalla vivacità dei colori e dalla pulizia dei luoghi pubblici, posso affermare con certezza che la ricostruzione avanza con molta celerità. I segni della guerra sono impressi negli angoli delle vie dove sono collocate le foto dei soldati che hanno sacrificato la vita per difendere gli inermi dal grande bubbone del terrorismo. Nonostante i gruppi jhiadisti lanciavano bombe e mortai per spaventare e uccidere, i siriani sono rimasti saldi nella speranza. Nel conflitto molti sono morti per i bombardamenti, altri annegati in mare, altri ancora dilaniati dalle esplosioni, soffocati dai gas tossici, feriti dalle schegge, mutilati, con le ossa spezzate, abusati sessualmente, da quei gruppi di diverse denominazioni che hanno combattuto contro il popolo siriano. Sorge spontanea la domanda: Chi ha fornito le armi? Chi ha finanziato la guerra? Per quale scopo? Con quale obiettivo? In Siria, ci sono interessi regionali e internazionali che esercitano pressioni nel Paese, rallentando così la completa sconfitta del terrorismo.

La guerra, purtroppo, non è ancora finita, anche se le zone dei combattimenti sono circoscritti nella zona di Idbil. Oltre alla guerra combattuta sul campo con le armi, la comunità internazionale aggrava la condizione della povera gente con il rinnovo delle sanzioni, che diventano un’arma micidiale contro gli indifesi. Le sanzioni rappresentano un impedimento per il popolo che ha bisogno di assistenza: ad esempio non possono essere inviati aiuti direttamente in Siria. Molto commovente l’incontro con una famiglia che ha perso un figlio a causa di una granata lanciata dai terroristi. Appena ci incontriamo, ci salutiamo affabilmente come vecchi amici. Eppure ci stavamo vedendo per la prima volta! In Siria, nessuno è straniero. Se porti nel cuore il desiderio della pace e della concordia, sei il benvenuto. Ci sediamo. La madre inizia a raccontare la storia del figlio, tragicamente ucciso da un mortaio lanciato dai terroristi. Era l’unico maschio che avevano. Gli è stata tragicamente portata via la vita, dall’odio e dalla violenza. Negli occhi dei genitori, ho visto tanta pace e serenità. Mentre parlavano riflettevo: “Da dove proviene la tranquillità con cui parlano del figlio?”. La risposta è venuta fuori a poco a poco: “Dalla fede”. In un mondo che sembra andare verso il nulla, qui a Damasco, le lacrime della mamma e del papà di questo giovane hanno trovato un senso. Pur attraversando la valle del dolore, non si sono rassegnati. Hanno perdonato sinceramente gli assassini. Sono consapevoli che il sangue del figlio è servito a costruire quel mosaico di pace interrotto da una guerra assurda. Alla fine abbiamo recitato insieme il Padre nostro, in arabo e italiano, invocando la benedizione del Signore. Un abbraccio lunghissimo ed intenso con la mamma tra  lacrime e singhiozzi. Anche a me ne è scesa qualcuna. Le nostre lacrime si sono mescolate. Non avevo voglia di asciugarmele. Ora sono impresse nel mio e nel suo volto, e ci insegnano che l’Amore è più forte dell’odio. Il sangue di questo giovane è fiamma viva, pietra fondamentale per la costruzione di un futuro di pace. Ne sono certo: l’ultima parola della storia non sarà la morte ma la Vita. Non possiamo dimenticare, che i mortai e i razzi lanciati sui quartieri di Damasco partivano dalla Ghouta, che appunto era diventato il centro comando dei terroristi. I morti non sono però l’unica eredità del conflitto. Negli anni dell’occupazione i miliziani sono stati raggiunti dalle mogli, altri hanno usato la forza per convincere le donne del posto che non sono riuscite a fuggire a sposarsi con loro; ed infine hanno utilizzato ragazze spesso appartenenti a minoranze religiose per farne delle schiave sessuali. Da queste unioni sono nati tantissimi bambini che oggi, morti o fuggiti i genitori, sono rimasti orfani e senza famiglia. In pratica figli di nessuno, senza identità, in mezzo ad una strada. Non hanno neanche un tetto in cui vivere e ripararsi. Le suore di Damasco e altre istituzioni hanno già iniziato a prendersene cura. Purtroppo questi bambini sono considerati i “semi” che gli jihadisti si sono lasciati alle spalle, e che gli stessi considerano una sorta di eredità. Nell’idea di costruzione dello Stato islamico i bambini sono la base, attraverso cui è possibile trasmettere l’idea del Califfato nel futuro. 

Il 7 Dicembre ricorreva la data della liberazione di Aleppo dai terroristi. Chi erano i gruppi jihadisti che hanno combattuto ad Aleppo? Pierre le Corf, attivista francese dell'organizzazione umanitaria We Are Superheroes, descrive la situazione: “Se verificate le notizie (rapporti dei servizi di intelligence interni in Francia) vedrete che rigorosamente tutti i gruppi conosciuti e affiliati che ci assediavano (e ancora oggi sono nella periferia) sono considerati organizzazioni terroristiche dalla Francia. Quindi in Francia sono dei cattivi, mentre qui sono dei bravi combattenti della libertà? Nessuno ha idea di quello che è successo ad Aleppo e della manipolazione, delle bugie, di quanto il terrorismo sia stato sostenuto dall’Occidente”. Sono 13mila le persone morte e 40mila quelle ferite ad Aleppo dall'inizio della guerra nel 2011, mentre sono 8mila le vittime e 25mila i feriti a Damasco. Quando i potenti della terra ascolteranno il grido della pace? Quando impareremo a vivere come fratelli come Gesù ci ha insegnato nel Vangelo? Raccogliamo l’invito di Papa Francesco a diventare nella quotidianità “artigiani di pace”, affinché il mondo possa vivere un futuro di prosperità e di pace.