La sicurezza del lavoro per le donne, spesso con contratti “precari”

Ci avviciniamo al Primo Maggio e il tema del lavoro, con particolare riguardo a quello che coinvolge le donne, non può mancare dalle nostre riflessioni, pur nella consapevolezza che anche altre sono le problematiche e le preoccupazioni che viviamo in questo periodo e che chiedono la nostra attenzione e discernimento; non dobbiamo dimenticare però che la conferma dell’importanza del lavoro ci viene in primis dalla nostra Costituzione che non a caso lo pone proprio nell’articolo 1, a fondamento di tutto il suo impianto di norme e principi.

È un tema che si presta ad essere trattato e declinato in molti modi, ma ciò che mi solletica a riflettere ancora una volta è il fatto che in questi due anni sia stato proprio un evento destabilizzante come un virus, che ancora fatica a lasciarci in pace, a far emergere gli aspetti negativi e imporre forti cambiamenti nelle nostre abitudini sociali e relazionali, che non hanno risparmiato neppure l’ambito lavorativo, mettendo in luce tante criticità che hanno avuto pesanti ricadute, principalmente sulle donne e sulle famiglie.

Mi sono chiesta: oltre alla Pandemia, oggi cosa rende precario un lavoro? È forse la sua tipologia? Oppure sono la mancanza di garanzie e dispositivi a tutela dell’integrità fisica del lavoratore a renderlo meno sicuro? E se fosse invece l’assenza o la poca chiarezza nei contratti in merito, ad esempio, alle garanzie economiche o alle politiche conciliative a cui si avrebbe diritto? E ancora, perché tante persone, soprattutto donne, accettano lavori che non presentano sufficienti garanzie e tutele o accettano lavori senza poter sottoscrivere un regolare contratto?

Nel caso delle donne credo sia determinante un frequente conflitto con il lavoro di cura, sia nell’ambito di coppia, che verso i figli o i genitori. Spesso sono le donne a “fare un passo indietro”, che poi si rivela difficilmente recuperabile.

Un altro aspetto che rilevo è la notevole e generale precarizzazione del lavoro in nome di una supposta flessibilità, che nelle intenzioni dei legislatori forse avrebbe dovuto diventare opportunità di miglioramento e ampliamento delle tipologie dei contratti di lavoro, ma che proprio nella pandemia ha trovato un involontario alleato, che ha contribuito invece a penalizzare soprattutto le tante donne che prima di questo evento erano riuscite ad accedere ad una occupazione, proprio attraverso contratti per lo più precari o di breve durata.

Probabilmente si trattava di lavori ad alto ricambio, in settori dove è sufficiente possedere un basso livello di istruzione, ma ciò non toglie che ora queste donne si ritrovino senza un lavoro e verosimilmente senza tutele, oltre al fatto che, proprio in seguito a processi di ridimensionamento delle aziende avvenuti anche a causa della pandemia, le donne in generale sono state maggiormente coinvolte e a causa di ciò si trovano ora anche più in difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro.

Precarietà nel lavoro è anche la scelta di ripiego di chi accetta un lavoro che non è proprio quello che si immaginava quando si è compiuto il percorso di studi e che adesso obbliga a rivedere al ribasso i propri obiettivi e desideri di realizzazione personale. Precarietà nel lavoro è anche quando le donne sono costrette a rimodulare il loro orario riducendo le ore di lavoro, operazione questa che se richiesta forzatamente vede le mamme single, o giovani mamme, ancora una volta tra le figure lavorative più svantaggiate di questi due anni. Precarietà nel lavoro è anche aver avuto una discontinuità a causa di impegni di cura dei propri figli o altri famigliari o in seguito ad una o più gravidanze.

Quante volte in questi anni il Forum delle Associazioni Famigliari ha ribadito con forza che il lavoro di cura merita di essere riconosciuto, non tanto per un vezzo di qualcuno, ma per il forte valore che esso rappresenta; crescere un figlio, accudire i propri anziani sono valori sociali che non possono essere sempre dati per scontati e che hanno una dignità che merita di essere riconosciuta anche economicamente.

Stefania Ridolfi, Forum delle Associazioni Familiari