La vera sfida da vincere per le università italiane

Dall’entrata in vigore della Costituzione ai nostri giorni, il sistema nazionale di istruzione pubblica è stato al centro di profondi cambiamenti. Si tratta di un percorso caratterizzato dalla tendenza, comune ad altri fondamentali diritti e servizi sociali, ad un sempre maggiore spazio per l’affermazione del concetto di autonomia e per il ruolo assunto dalle istituzioni preposte nella definizione dei contenuti e delle modalità organizzative dell’offerta formativa.

Le norme costituzionali suggellano il diritto delle Università alla autonomia statutaria e organizzativa. Il compito assegnato alla Repubblica di promuovere la cultura e la ricerca scientifica e tecnica, evidenzia il ruolo di rilievo riconosciuto agli Atenei italiani.

Il diritto effettivo all’istruzione vuole assicurare a tutti la possibilità di accedere ad un percorso di crescita umana e culturale, finalizzata a facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro. Il diritto allo studio è un diritto di prestazione in funzione del quale non è sufficiente il suo mero riconoscimento, essendo invece necessaria la predisposizione di tutti gli strumenti ed i mezzi utili a garantirlo concretamente. Ma se l’istruzione di base è un diritto di tutti, universale e gratuito, la prosecuzione degli studi, fino ai gradi più alti dell’istruzione, viene comunque garantita “ai capaci e meritevoli anche se privi di mezzi”. Il diritto allo studio non può essere pregiudicato per ragioni economiche. Per dare concretezza a questo diritto occorre intervenire con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze.

I numeri diffusi da recente da Eurostat danno un quadro a tinte fosche dell’istruzione universitaria in Italia. Il nostro Paese occupa la penultima posizione tra gli Stati dell’Unione Europea per la quota di laureati. Un modesto 29% nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni registrata nel 2020, peggio di noi fa solo la Romania, con il 25%. In Europa il 41% della popolazione giovanile ha completato l’istruzione universitaria.

Si evidenzia un divario di genere molto importante, il numero di donne laureate è di gran lunga superiore a quello degli uomini (46% contro il 35%). Eppure, appena si passa dall’ottenimento del titolo di studio al mercato del lavoro i dati si capovolgono drasticamente, con un gap in termini di occupazione e di salario che penalizza fortemente le donne.

Per provare ad invertire la curva negativa bisogna per prima cosa aumentare il numero di borse di studio a favore degli studenti meritevoli e bisognosi. Ma ovviamente la misura da sola non basta. Occorre mettere in piedi interventi di carattere strutturale che ridisegnino le classi di laurea, fornendo una preparazione di carattere generale nei primi tre anni e una maggiore specializzazione per lauree magistrali e dottorati. Magari liberando il sistema dei debiti formativi da parametri troppo angusti.

Bisogna soprattutto che l’Università dialoghi con il territorio di riferimento. Creare infrastrutture di ricerca e innovazione che colleghino il mondo accademico al settore industriale, anche promuovendo la combinazione di investimenti pubblici e privati. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede risorse per sostenere il Venture Capital in Italia. Attraverso questa iniziativa sarà possibile ampliare la platea di imprese innovative, finanziando progetti capaci di generare impatti positivi nel campo della ricerca. Anche i tempi per il conseguimento del titolo devono essere di gran lunga più brevi rispetto agli attuali, semplificando le procedure per l’esercizio delle professioni. In questo senso è già in atto un percorso di riforma per velocizzare l’accesso al mondo del lavoro da parte dei laureati, con l’intento di far coincidere l’esame di laurea con l’esame di stato.

Una novità significativa riguarda l’introduzione di dottorati innovativi che mirano a connettere gli studi universitari ai fabbisogni delle imprese, attraverso percorsi dottorali non finalizzati esclusivamente alla carriera universitaria. L’obiettivo della misura è di creare un ponte tra la qualificazione postuniversitaria e l’assunzione dei ricercatori da parte delle imprese e pubblica amministrazione. I nuovi dottorati con alte specializzazioni in competenze Stem e digitale serviranno proprio a recuperare il netto ritardo con le materie umanistiche e giuridiche. Ma la vera sfida da vincere sarà quella di creare una formazione inter – disciplinare per rispondere alla complessità del mondo delle professioni, anche superando il criterio dell’affinità disciplinare dei corsi di studio.

Il debito pubblico davvero buono consiste nella spesa per investire in ricerca, conoscenze e competenze, per una crescita solida ed equilibrata e la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro.