Spargere semi di Vangelo sul terreno profanato dalla violenza

«Se solo potessi tornare indietro … non lo rifarei». Queste parole le ho sentite dire mille volte. Nelle carcere e sui letti di morte. Tra le lacrime e i sospiri. Ma indietro non si torna, nemmeno di un istante solo. Prima di fare una scelta, allora, di dire una parola, di sferrare un pugno, di giurarsi eterno amore; prima di alzare il gomito, di fumare uno spinello, di correre a sniffare cocaina, di fare una promessa, fermati, rifletti. Se sei credente, prega.

Quando sei arrabbiato, quando hai voglia di vendicarti, di dare una lezione a chi ha tradito la tua fiducia, fermati, rifletti. Se sei credente, prega. Prima di abortire, di metterti alla guida dopo aver bevuto o con il cellulare in mano, prima di ingannare il prossimo, la donna o l’uomo che dici di amare, fermati, rifletti. Se sei credente, prega. Guardati allo specchio e ripeti ad alta voce: “Indietro non si torna. Mai. Nemmeno di un istante solo”.

Questo pensiero, come un martello pneumatico, mi rimbomba nella mente in questi giorni di violenza e di sofferenza. Penso ai forzuti assassini di Willy; a Michele, il fratello di Paola, che con il suo comportamento, ha provocato la morte della sorella. Penso alla assurda morte di don Roberto, il mio confratello di Como, “martire della carità”, ucciso dalla stessa mano che tante volte gli aveva chiesto il pane. Penso alle due donne, mamma e figlia, che a Boscoreale, nel Napoletano, hanno accoltellato l’amante del marito – padre. All’invidioso accoltellatore degli innamorati di Lecce.

Niente da fare, quando credi di averlo individuato, catalogato, sterilizzato, il male; quando pensi di essere in possesso dell’indirizzo dove alberga, ti accorgi che ti ha fregato ancora. Ti è sfuggito di mano e ha già trovato casa altrove. È vero, in certi ambienti trova un terreno più fertile. È vero, ci sono certi cuori che al solo vederlo da lontano corrono a spalancargli la porta. E’ tutto vero, ma è altrettanto vero che i conti non tornano mai. Che fare allora? Nessuno è tanto ingenuo da pensare che con il moltiplicare a dismisura sanzioni, divieti e leggi, il male, che tanta sofferenza genera, possa essere bloccato. Penso che occorre iniziare dalle radici. Mi spiego. Siamo rimasti scandalizzati, poco tempo fa, dalla notizia di un neonato gettato dal balcone in provincia di Salerno. Com’è possibile? Come si fa? Eppure è accaduto. Certamente i colpevoli pagheranno per il delitto commesso, ma intanto il bambino è morto. Va detto, però, se solo avessimo il coraggio di liberarci dall’ipocrisia che sovente ci accompagna, che quello stesso bambino avrebbe potuto essere eliminato pochi mesi, prima in modo pulito, “civile”, “ democratici” senza suscitare nemmeno la pietà.

Questa verità, che tocca i nostri nervi più scoperti, deve essere ripensata. Perché, o si comincia dalle radici, si ha il coraggio di chiamare le cose col giusto nome, si ha l’onestà della verità, anche quando ci fa male, ci umilia, ci mortifica, mette a nudo le nostre vergogne, o dobbiamo rassegnarci a sguazzare nella melma sperando solo, nel momento opportuno, di sporcarci di meno. Se l’amore alla vita, che tutti in teoria diciamo di perseguire, non inizia dalle radici, siamo costretti, di volta in volta, a mettere dei paletti, ma saranno sempre abusivi, messi dal padrone che decide dove e come piantarli.

Il debole, il povero, il “diverso”, il bambino non ancora nato, quello che sta crescendo nel grembo di una mamma dalla quale, senza pietà, sarà strappato, appena nato, per farlo a chi lo ha commissionato, non hanno parte alcuna in queste decisioni. La legge del più forte non è mai stata una legge buona. Converrebbe ricordare che amore ed egoismo hanno i confini incerti. Michele “amava” la sorella, per questo motivo le impediva di vedersi col suo Ciro. Le centinaia di maschi italiani che hanno ucciso la loro donna, dicono di averlo fatto “per amore”. La ricetta magica, per prevenire il male, purtroppo, non la possiede nessuno. Ma se nessuno possiede la ricetta, tutti hanno a disposizione un ingrediente favoloso che, se usato, fa miracoli: l’umiltà.

L’umiltà non è una virtù che riguardi la fede e i credenti. No, l’umiltà è una presa di coscienza. È rendersi conto che la vita mia vale quanto la tua; vite preziose ma fragilissime. L’umiltà va in cerca delle verità, l’acqua di cui tutti, credenti e non credenti, hanno sete. A nessuno piace essere ingannato, perciò non posso, non potrò mai, ingannare nessuno. Il “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” è un comandamento che affonda le radici nella ragione non nella fede. Chi ragiona è umile, chi ha fede è umile. Chi sa coniugare fede e ragiona è doppiamente umile. Ma non è finita, perché l’umiltà e la verità si nutrono della carità. Sono rimasto spaventato, in questi giorni, dall’odio e dal desiderio di vendetta che come olio ho visto scivolare sul fiume dei social. Non è un bene.

La società ha il dovere e il diritto di difendersi dai malvagi. Nessuno osa chiedere sconti per nessuno. Ma quando la sentenza, severa e giusta, viene emessa, dobbiamo continuare a conservare un pizzico di pietà per il reo. La Chiesa, sull’esempio del suo Signore, non abbandona nessuno. Anche sui carri dei condannati a morte, veniva assicurata la presenza consolante di un prete col crocifisso in mano. Se la cattiveria umana dovesse estirpare la pietà dal cuore degli uomini, allora il male avrebbe vinto davvero la sua battaglia. Provate a immaginare un mondo dove la pietà si è spenta. Sarebbe un modo orribile. Gelido. Disumano. Non deve accadere. Non accadrà. Continuiamo a spargere semi di vangelo, di pace, di amore. Certi, che prima o poi il deserto fiorirà.