La risposta allo sfruttamento è una grande rivoluzione culturale

Sulla tratta non ci possono essere distinguo. Se si riconosce la prostituzione come un’insopportabile mercificazione dei corpi di donne rese fragili e indifese da ricatti e violenze, nessuno onesto con sé stesso può pensare a forme di tolleranza o addirittura di regolarizzazione. Eppure, sia in seno alla nostra società sia nel mondo politico, questa tentazione luciferina torna di tanto in tanto a far capolino, con gravi conseguenze sull’immaginario collettivo.

Non sono pochi, infatti, coloro che, ancora oggi, non riescono a cogliere la portata di questo crimine, derubricandolo al massimo a mero fenomeno di malcostume e degrado, o che ignorano le indicibili sofferenze delle vittime, alle cui quotidiane umiliazioni della strada si sommano storie di inganni, abbandoni e sfruttamento che distruggono, insieme a quelle stesse persone, intere famiglie.

Fa certamente riflettere il fatto che neppure l’emergenza sanitaria che viviamo da oltre un anno e mezzo, così come il conseguente lockdown che ha frenato tante attività economiche e paralizzato gran parte della vita sociale, non siano riusciti a fare argine a questa piaga che, al contrario, allontanandosi dai marciapiedi per rintanarsi in luoghi chiusi, ha contribuito a rendere ancora più invisibile la tragedia di tante donne, tutto a vantaggio delle organizzazioni criminali che hanno reso la prostituzione il terzo business illegale per volume di affari dopo i traffici di droga e armi.

È evidente, quindi, che di fronte a noi abbiamo un problema complesso, che non può essere esclusivamente considerato di ordine pubblico, e quindi facilmente contrastabile con leggi ad hoc. Anche perché, fosse davvero così, forse sentiremmo meno pronunciare quell’infelice espressione di chi, spesso e volentieri, quasi a giustificare il meretricio, parla di “mestiere più antico del mondo”.

Oltre a sostenere l’insostituibile opera anti-tratta e di accoglienza che svolgono tante associazioni cattoliche e laiche nei nostri territori, e che permette di salvare e dare un futuro a migliaia di vite, davanti a noi c’è un compito enorme.

Un compito complementare a quello fondamentale (ma non sufficiente) del legislatore, così come alla meritoria attività di repressione svolta dalle forze dell’ordine, che purtroppo però, anche per il carattere sfuggevole del fenomeno, rischia spesso di arenarsi in superficie, colpendo per la seconda volta chi è già vittima, senza neanche sfiorare gli aguzzini.

Il punto è che se c’è chi cerca sesso a pagamento, c’è prostituzione. E se c’è prostituzione c’è sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali. La risposta, come dicevo poc’anzi, non può essere la legalizzazione, che suonerebbe come una drammatica resa, ma una grande rivoluzione culturale, volta a modificare modelli che, non di rado, tendono a presentare le donne come oggetti e strumenti per soddisfare istinti primordiali. Infatti, da questa raccapricciante visione all’individuare i corpi come merci il passo è brevissimo.

Non è difficile rendersi conto di tale deriva, che seppur quasi sempre presente nella storia dell’umanità, negli ultimi anni sembra essersi allargata grazie all’utilizzo distorto delle nuove tecnologie e dei social network, che hanno moltiplicato la diffusione di stereotipi degradanti e, in certi casi, perfino abbassato le difese inibitorie.

La rivoluzione culturale che immagino è un lavoro educativo che riguarda i giovani ma non solo, perché è a partire dalla famiglia e, più in generale dall’esempio degli adulti, che ritengo debba partire l’insegnamento del rispetto della donna, del corretto valore da attribuire alla sessualità, del diritto di ogni essere umano a vivere un’esistenza libera e dignitosa. È una via difficile, tortuosa e senza scorciatoie, ma inevitabile. Proprio come tutti i percorsi che portano a cambiamenti sociali stabili e duraturi.

Maurizio Mangialardi, sindaco di Senigallia 2010-2020