Relazioni Grecia e Turchia: il futuro dipende dal mare

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La crisi che contrappone attualmente Grecia e Turchia nel Mediterraneo Orientale ha cause prossime e remote. L’oggetto principale della contesa di questi giorni è rappresentato dalla configurazione delle Zone Economiche Esclusive insistenti nell’area.

Ogni paese avente accesso al mare ha in effetti diritto a sfruttarne le risorse, anche quelle situate al di sotto dei fondali, ma può esercitarlo soltanto entro limiti geograficamente precisi, che vengono determinati sulla base del diritto internazionale o di accordi bilaterali tra i paesi che vantano pretese concorrenti. La Zona Economica Esclusiva, o ZEE, non va peraltro confusa con le cosiddette acque territoriali, che sono soggette alla pienezza della sovranità degli Stati cui appartengono.

La circostanza che facciano parte della Grecia isole sparpagliate per tutto l’Egeo, alcune delle quali a ridosso dell’Anatolia, ha generato un assetto delle ZEE che la Turchia giudica assai penalizzante per i propri interessi. Di qui, le pressioni che il governo turco ha iniziato ad applicare sulle controparti greche – e prima ancora sulla Repubblica di Cipro – per ottenerne la correzione.

Sullo sfondo, non meno rilevante di questo motivo, esiste tuttavia una seconda ragione: l’odierno governo turco persegue un ambizioso programma di riscatto nazionale che tende a riaffermare lo status di grande potenza del paese. La Turchia vuol contare di più, sia in terra che per mare, e prova ad espandersi, incontrando la naturale resistenza di chi dovrebbe farne le spese, come in questo caso la Grecia.

A questo fine, Erdogan sta utilizzando con spregiudicatezza tutti i mezzi a propria disposizione. Tasta il terreno con iniziative provocatorie e muove le forze armate. Sfrutta inoltre al massimo il potere di ricatto che gli deriva dal fatto di aver aperto a russi e cinesi pur rimanendo ancorato all’Alleanza Atlantica.

Tale circostanza spiega le grandi difficoltà incontrate finora da Europa e Nato nel gestire questa situazione. Nessuno vuol fare passi che possano indurre i turchi ad abbandonare definitivamente l’Occidente. Inoltre, l’Alleanza Atlantica non può schierarsi apertamente contro un suo Stato membro.

Dentro l’Unione Europea, poi, le posizioni sono articolate. La Francia, per esempio, sostiene la Grecia in una misura preclusa alla Germania dalla presenza di una folta ed influente diaspora turca al suo interno. Quanto a noi, l’Italia sta cercando una linea mediana, inviando navi ad addestrarsi tanto con i turchi quanto con i greci.

In realtà, nessuna delle parti coinvolte desidera una guerra che sarebbe rovinosa, potendo trascinare nella lotta paesi che dispongono di strumenti militari ragguardevoli.

L’obiettivo è per entrambe quello di giungere alla trattativa in una posizione di forza. È per questo motivo che le tensioni stanno aumentando ed è sempre in agguato l’incidente che può far sfuggire il gioco di mano.

In questa fase, la cosa migliore da fare è fornire tanto ai greci quanto ai turchi un modo di negoziare con la garanzia che nessuno perda la faccia. Dei margini esistono: seppure non lo ammetta apertamente per una questione di principio, Atene è infatti disponibile a qualche sacrificio, anche per poter associare la Turchia ad una futura gestione condivisa delle risorse e dei corridoi energetici che attraversano il Mediterraneo Orientale.

La Nato sta provando a mediare, ma serve probabilmente un sostegno più convinto da parte degli Stati Uniti, ora distratti da una campagna elettorale tra le più aspre della loro storia.

Prof. Germano Dottori
Docente di Sicurezza Internazionale e Studi di Sicurezza Internazionale