Recovery Fund: siamo di nuovo al punto di partenza?

Con il Recovery Fund siamo di nuovo al punto di partenza perché il tutto si sta muovendo con la lentezza politica tipica dell’Europa. Il voto della Polonia può segnare una battuta di arresto ma non può fermare quello che ormai pare essere il corso della politica, per non dire della storia. L’Europa ha buttato alle spalle un periodo di ultraliberismo per andare a scoprire quali sono le vere ragioni dello stare insieme, ossia la solidarietà.

Intendiamoci, non stiamo parlando di un Paradiso in terra; quando questi obiettivi saranno raggiunti, si potrebbero verificare degli squilibri fra i singoli Paesi dell’Unione – ed è inutile dircelo – la Germania conterà ancora più di adesso – però è il prezzo da pagare alla pandemia, ma è anche il prezzo da pagare a trent’anni di annunciati miglioramenti, di annunciati paradisi in terra dalla classe politica italiana che poi si è rivelata essere non all’altezza della situazione. Dobbiamo pagare un prezzo per le lettere fatte da un governo, invece che un altro, alla Banca centrale europea perché si doveva mettere un tampone all’emergenza dei conti, lasciati andare nell’immediato, e per questo si ipotecava il futuro delle generazioni successive. Bisogna vedere l’essenza delle cose: l’Unione europea sta riscoprendo un progetto di integrazione, non perfetta, ma necessaria e positiva.

Quando si parla di Recovery Fund, si intende la Green Economy, la Next Generation, tutti progetti figli di un’unica sensibilità, si guarda finalmente al futuro. Se la Germania ha imposto, sbagliando – e questo non sarà mai detto abbastanza – negli ultimi venti anni il rigore dei conti fine a sé stesso, adesso l’Europa sta scoprendo che se non pensa in termini di medio e lungo periodo, tra dieci anni il conto da pagare sarà ancora più duro. Quindi non salta solo l’Italia o la Grecia o la Spagna, ma salta anche la stessa Germania. Ogni Paese – Lussemburgo o Olanda o Austria o Finlandia, citiamo Stati che al momento non vogliono “tirare fuori i soldi – è importante e se ne viene a mancare uno, manca l’Unione. Questo vuol dire riscoprire le radici dell’Europa nata nel progetto di Schuman e De Gasperi.

Tutto questo è paradossalmente l’effetto benefico della Brexit. La Brexit in realtà è un danno e questo non sarà mai capito abbastanza, neanche per gli stessi inglesi. L’aver abbandonato l’Europa, ha ridato spinta e liberato energie filo-europeiste all’interno della Francia e della Germania e dell’Italia. E questo dovrebbe essere nel lungo periodo – il fattore che ci darà nuovo slancio per l’integrazione.