Rai: i danni della caccia alla poltrona

Certo, un programma non fa primavera. Al massimo solo ascolti e polemiche. Come è successo con la serata evento dedicata a Pino Daniele, andata in onda su Rai Uno giovedì sera. Lo share è stato buono, i commenti un po’ meno. La rete, tempestata di cinguiettii e post manco fosse stata una serata di Sanremo, non ha fatto sconti a nessuno, bocciando quegli artisti apparsi fuori luogo e fuori posto.

Quando c’è di mezzo un tributo a… chi sale sul palco dovrebbe avere l’accortezza di fare un passo indietro, mettendo nel freezer il proprio ego. Allo stadio di Napoli, dove è stato realizzato il concerto, si è visto l’esatto contrario. Chissà se Pino avrà gradito. Chissà.

Ma se mettiamo da parte l’aspetto artistico della vicenda – considerando la scaletta proposta dalla Rai e dagli organizzatori del concerto una nota stonata in una serata che avrebbe dovuto essere lirica ed è stata quasi satirica con cantanti non partenopei impegnati a cantare in napoletano senza avere né arte né parte per poterlo fare – una similitudine con il corso politico della governance della Rai appare quanto mai evidente. Non senza una certa sorpresa i curricula presentati da personalità di varia estrazione per la propria candidatura in consiglio di amministrazione  della Rai, sono stati 236. Un numero molto alto, quasi un maxi concorso. Come se un posto al settimo piano di Viale Mazzini fosse un punto d’arrivo e non un transito per chissà dove. Tant’è, questo è il Paese delle strane storie.

Una volta i partiti facevano fatica a trovare personaggi disposti a sacrificarsi, sapendo che quello dell’amministratore è un ruolo ingrato. Oggi c’è la fila, come alle casse del supermercato. Nel calderone delle autocandidature sono finiti nomi importanti, noti e meno noti, come Michele Santoro o il membro laico del Csm, Paola Balducci. E poi l’iperberlusconiano Pietro Vigorelli, già vice del Tg5, ma anche i membri uscenti Rita Borioni, Arturo Diaconale, Carlo Freccero, Giancarlo Mazzuca e Franco Siddi. E poi il reporter tedesco Wolfgang Achtner, una vita nei maggiori network tv, che nel 2003 girò un doc sui Girotondi. Ma pure l’ex direttore di Rai Uno negli anni del centrodestra imperante, Fabrizio Del Noce; lo sceriffo del web, il generale Umberto Rapetto, il produttore tv Francesco Siciliano, il manager Alberto Conti, che già occupò la carica negli anni 1998-2002. C’è l’ex delle Iene Dino Giarrusso, che è stato eletto il 4 marzo nelle file dei Cinquestelle e ora cura la comunicazione per Roberta Lombardi alla Regione Lazio. Stessa idea per Nunzia De Girolamo, non eletta in Parlamento dopo una vita in Forza Italia, salvo una parentesi con l’Ncd di Alfano. Insomma, un parterre talmente variegato da assomigliare al vestito di Arlecchino.

Tutti competenti? Tutti in grado, se chiamati a viale Mazzini, di assolvere il compito di amministratore? Senza voler fare torto a nessuno, i dubbi superano le certezze. Non ci si improvvisa amministratori della cosa pubblica solo perché si è percepito uno stipendio pubblico. Occorre ben altro. Insomma, non basta cantare per interpretare una canzone di Pino Daniele. Ecco, la sensazione è che la politica stia affrontando la vicenda del rinnovo del Consiglio di amministrazione della Rai con una visione molto parcellizzata del tema, nella convinzione che si tratti di una mera spartizione di poltrone. Invece, mai come in questa fase, è in ballo il futuro della prima azienda culturale del Paese.

Il sistema dei media, televisione compresa, sta cambiando profondamente e le nuove domande, soprattutto quelle degli utenti, non possono essere evase con vecchie risposte. E’ necessaria una risintonizzazione sul presente. Prendiamo i due azionisti del governo. La Lega punta a valorizzare l’informazione regionale, con uno sguardo forte ai territori. La Rai, avendo ancora le sedi regionali, può e deve assolvere al meglio questo compito. I Cinque Stelle, invece, puntato ad una informazione politica meno sbilanciata e più tarata sull’approfondimento. Altro segmento nel quale la tv pubblica può e deve dire la sua. Dunque il prossimo Cda non sarà un semplice passacarte, ma avrà davanti  a se scelte strategiche. Scegliere i componenti del board come fossero i figuranti del Grande Fratello rischia di creare un corto circuito fra la politica e la società. E come se la Rai commettesse lo stesso errore commesso con il concerto omaggio a Pino Daniele. Volti noti nel posto sbagliato. Lo share può anche salire ma scende il gradimento. Ed è quello che conta nel lungo periodo.