Quella candelina che Charlie non ha potuto spegnere

Charlie Gard ieri avrebbe compiuto un anno di vita. Ma non ha potuto festeggiare insieme ai suoi genitori, giacché una settimana fa è partito per il suo ultimo viaggio di non ritorno.

“Il nostro splendido bambino se n’è andato, siamo così orgogliosi di te” queste le parole di Connie Yates, mamma del piccolo, alle quali sono seguite le parole di Papa Francesco: “Affido al Padre il piccolo Charlie e prego per i genitori e le persone che gli hanno voluto bene”.

Condannato dall’Alta Corte di Londra che, su indicazione dei medici del Great Ormond Street Hospital, ha ordinato che dall’ospedale fosse trasferito in un Hospice per malati terminali.

Da tempo era cominciata la corsa affannosa di chi fino alla fine ha cercato di salvarlo anche in nome di quella libertà di decidere secondo il principio di autodeterminazione che paradossalmente  non è stata riconosciuto ai genitori del piccolo Charlie che volevano far vivere il loro piccolo. Una storia triste dove tutti hanno messo del proprio, dove si sono frammiste problematiche etiche, giuridiche e mediche, ma dove soprattutto non è stata mantenuta in debita considerazione la dignità e la sacralità della vita umana.

E non vogliamo parlare di sacralità in senso confessionale, sarebbe fin troppo facile, ma di rispetto della vita in senso etico laico e che ci ha portato tutti in modo unanime a condannare  le guerre, la Shoah, le pulizie etniche di intere popolazioni. Un mondo quale quello attuale dove, per illudersi di volare, si perde la vita per una pasticca di ecstasi, dove il branco vigliacco stupra le donne indifese, dove impera il femminicidio e dove la vita ha perso il suo significato perché si è persa la scala dei valori.

Una società dove non esiste più il concetto di famiglia, dove i genitori non sanno chi sono e cosa fanno i propri figli, dove gli insegnanti hanno paura di educare, dove la parola “no” fa insorgere certe frange politiche e dove di conseguenza un bimbo può anche morire quasi fosse un vittima sacrificale.

Anche nella storia della nostra società ci attende un momento di svolta etico-culturale, secondo la legge sul fine-vita in discussione in Parlamento dovremo essere chiamati a breve a poter liberamente esprimere di voler o non voler morire, senza peraltro quella preparazione scientifica, medica e culturale che potrebbe in qualche maniera portare a travisare situazioni altrimenti risolvibili.

Tutto infatti viene banalizzato attraverso una parola per lo più sconosciuta ai più: Accanimento

Terapeutico. Una condizione vietata già dal codice deontologico e che nessun medico in scienza e coscienza dovrebbe mai usare nel corso della propria professione, ma che purtroppo è stata evocata dai medici inglesi quale giustificazione al loro comportamento nei confronti del povero Charlie.

Ma secondo il principio di Ippocrate al contrario non è pensabile l’Abbandono Terapeutico nel rispetto del Paziente, della qualità della vita e della dignità della Persona umana.

Stefano Ojetti – Vicepresidente nazionale Amci (Associazione Medici Cattolici Italiani)