Quando efficienza e innovazione finiscono alla sbarra

Vestager come Monti, quindi? Da quello che si legge nelle ultime ore parrebbe di sì visto che, anni dopo la sanzione erogata a Microsoft per le stesse ragioni, è giunta una pesante condanna verso Google (anche se sarebbe più corretto chiamarlo con il nome ufficiale dell’azienda, Alphabet) di 4.3mld di euro per abuso di posizione dominante semplicemente perché commercializza gratuitamente il suo Os in cambio di alcune concessioni sulle app preinstallate sui supporti dei suoi partner commerciali. Secondo il commissario Ue alla concorrenza Margrethe Vestager “Google ha utilizzato Android come strumento per consolidare la posizione dominante del proprio motore di ricerca. Tali pratiche hanno negato ai concorrenti la possibilità di innovare e di competere in base ai propri meriti ed hanno negato ai consumatori europei i vantaggi di una concorrenza effettiva nell'importante comparto dei dispositivi mobili. Ai sensi delle norme antitrust dell'Ue, si tratta di una condotta illegale”.

Fosse così sarebbe inoppugnabile, in teoria, ma la realtà è ben diversa. Oggi i sistemi operativi nel campo mobile, disponibili per gli utenti, sono sostanzialmente due: iOS, che copre il 14% circa del mercato, e Android, con una quota superiore all’85%. Altri OS sono spariti, come Symbian, Fire OS (che fu la vera scommessa persa di Amazon) o Blackberry OS, o in fase di dismissione, come i Windows Phone, e, ad eccezione di Apple che realizza i suoi iPhone con un sistema operativo dedicato, tutti i produttori hanno scelto di montare, su licenza gratuita, Android. Questo nasce dalla versatilità e dall’efficienza dell’OS di Mountain View che per la sua natura ibrida, a metà tra un sistema proprietario e un open source, permetteva di essere personalizzato, anche pesantemente, da ciascun licenziatario, tanto che la versione che monta Samsung, ad esempio, era nettamente differente da quella proposta da Lenovo, per dire. Nel corso degli anni, però, complice anche il successo della linea Nexus marchiata Google, la preferenza per Android “puro” è aumentata così anche le modifiche da parte dei produttori di supporti si sono ridotte fino a diventare una mera proposta di “launcher”, dell’interfaccia proposta in pratica.

Detto questo Alphabet pretendeva che i partner, per usufruire della licenza gratuita, preinstallassero il browser Chrome, il widget di ricerca che puntava su Google e una serie di app sviluppate proprio per i dispositivi mobili che avrebbero permesso di consegnare a qualsiasi utente un prodotto “chiavi in mano” che potesse funzionare senza bisogno di ulteriori azioni oltre all’accensione. A questo si aggiunge che agli sviluppatori di app, per poter proporre i prodotti su Play Store e per poter avere le licenze software necessarie allo sviluppo gratuitamente, dovessero prevedere Google come motore di ricerca predefinito. Questa struttura ha permesso di creare un “ecosistema” informaticointegrato efficiente e a costi irrisori per produttori e utenti e il mercato, parrebbe, ha premiato la visione di Larry Page e Sergey Brin rendendo la loro proposta vincente e dominante (da notare che anche la maggior parte degli utenti Apple utilizzino soluzioni proposte da loro, come motore di ricerca, mappe, etc… ma questa è un’altra storia).

Ora, secondo la Commissione Ue, questo avrebbe impedito innovazione e competizione da parte dei concorrenti però – sì, c’è un però – una volta attivato il proprio terminale Android, chiunque e con pochi click potrebbe cambiare completamente le impostazioni “di fabbrica”,selezionando un browser differente, come Opera, Firefox, Puffin o, perfino, Tor (il browser “a cipolla” che garantisce l’anonimato nella navigazione), oppure impostare altri motori di ricerca come Bing di Microsoft o il cinese Baidu; se l’utente medio, invece, dopo aver scaricato Facebook, l’app del meteo e qualche gioco, preferisse utilizzare i prodotti a marchio Google perché li trovasse comodi e efficienti (oltre che per la pigrizia di dover cercare qualche sostituto che lo soddisfi) perché dovrebbe essere sanzionato il produttore?

Fino ad oggi il modello di business di Android ha permesso che i produttori di telefoni non abbiano mai dovuto pagare un centesimo la tecnologia fornita da Alphabet, l’azione della Commissione potrebbe portare, quindi, l’OS a divenire a pagamento, credibilmente rendendo anche più oneroso l’accesso alle tecnologie informatiche alche agli utenti ma la cosa più probabile è che, comunque vada la questione relativa alla sanzione monstre, nulla cambi rispetto ad oggi. Se pensassimo a quello che successe con Microsoft nel 2008, quando fu condannata per la previsione di Internet Explorer nel pacchetto di Windows, che si replicò anche nel 2013 così come la sanzione data a Intel, prima, e a Qualcomm, poi, per la posizione dominante nel campo dei processori (ma ad ARM mai nulla, visto che la tecnologia su cui si basano tutti i processori mobili, da quelli di Apple a quelli di Samsung o Huawei viene fornita da loro?), il mercato, in seguito, non ha avuto scossoni. Microsoft ha continuato a commercializzare IE con Windows (anche se oggi la maggior parte degli utente sceglie Chrome anche sui desktop, per dire), Intel è tutt’oggi il primo fornitore di CPU per computer e Qualcomm per i dispositivi mobili; le vere trasformazioni le hanno innescate le preferenze degli utenti che hanno premiato i sistemi più innovativi ed efficienti a discapito di altri.

Certo oggi i concorrenti sono due, nell’ambito del mobile, iOS e Android, quando dieci anni fa il clima era più frizzante con Symbian, che resisteva sui Nokia, Windows Mobile, Blackberry OS, oltre che ai due già citati probabilmente questa sanzione non avrebbe nemmeno avuto la base giuridica su cui basarsi ma l’assurdità di quanto erogato oggi la si potrebbe vedere in un esempio paradossale come quello che se il mercato automobilistico fosse dominato da due aziende, mettiamo Volkswagen e Toyota, queste venissero sanzionate perché nelle dotazioni di serie non permettessero di montare pezzi di altri produttori.