Quale manovra senza i soldi del Recovery Fund?

Come ogni anno è stata presentata la bozza della Legge di Bilancio per lo stato italiano. Nessuno potrà negare che il 2020 sia stato un anno, diciamo, complicato, già caratterizzato da un uso piuttosto disinvolto dell’indebitamento, come fin dalle prime mosse degli esecutivi Conte e come visto nel disposto della scorsa “finanziaria”, e funestato dalla peggiore crisi dal dopoguerra ad oggi causata dalla pandemia in atto.

Anche per le previsioni relative al 2021 la cosa non cambia e, dopo il deficit previsto del 10,8% sul PIL nel 2020, è previsto un deficit programmatico del 7%, il doppio del limite indicato dal Trattato europeo ma possibile per la sospensione dei vincoli di Maastricht deliberata per fronteggiare la situazione contingente; questo mentre lo stock di debito vede una crescita importante assestandosi in un tendenziale pari al 160% del PIL a fine anno.

Queste sono le prime notizie cattive. Dal lato della bozza, comunque, non mancano punti interessanti, dalle risorse previste per l’agognata (da anni) riforma fiscale, di cui parleremo tra poco, alla rimodulazione degli assegni famigliari alle politiche attive per l’occupazione alle, finalmente si leggono, risorse per gli investimenti infrastrutturali di cui il paese necessita da anni. Si parlava di riforma fiscale, bene, sono stati stanziati dei fondi e, quindi, dovrebbe almeno vedere la luce ma questa sarà un “topolino”.

I fondi, infatti sono ridicoli, assolutamente insufficienti a garantire una vera rimodulazione del prelievo per arrivare ad un abbassamento della pressione fiscale. Non è un mistero che per poter diminuire il prelievo sarebbe necessario che lo stato spenda meno e meglio, le previsioni sono di un aumento ulteriore di spesa che significa che in futuro maggiori risorse dovranno essere accantonate per pagare i debiti contratti o tagliando le spese, quindi o l’impiego pubblico o i servizi o, ancora, entrambi, oppure aumentando il prelievo, come si è fatto costantemente dall’epoca della conquista sabauda della penisola ad oggi.

Non è un mistero che già solo una razionalizzazione dei imposte, tasse e tariffe varie sarebbe un miglioramento, così come una riduzione delle scadenze fiscali e un miglior sistema di gestione dei crediti di imposta vantati ma, oggi, senza un intervento di abbattimento, anche minimale ma strutturale, del prelievo non si avrebbe alcun effetto concreto nel rilancio del Paese.

I capitoli da toccare sono noti, prima energia e logistica poi il resto, ma sembra che discorsi del genere non siano molto ascoltati nei palazzi competenti.

Parlando di assegni famigliari e di rilancio dell’occupazione si va già meglio con l’istituzione dell’assegno unico per i figli, che renderà più agevole ed efficace l’ottenimento del sostegno, così come la proroga della decontribuzione per l’assunzione dei giovani e delle donne così come l’estensione alla decontribuzione per settori fortemente colpiti dagli eventi di quest’anno come sport e agricoltura così come i finanziamenti ad hoc per il turismo.

Nel testo, come di consueto, c’è un capitolo dedicato interamente al sud, con la previsione di una fiscalità agevolata dimenticando che buona parte dei problemi del meridione siano imputabili alle politiche per il sud che, fin dal governo Zanardelli a inizio ‘900, si sono susseguite senza alcun risultato, anzi acuendo il divario tra le zone del Paese.

I provvedimenti, infatti, dovrebbero essere strutturali e certi all’interno di tutta Italia, favorendo, invece, la concorrenza fiscale tra una zona e l’altra rivoluzionando il sistema di prelievo e di spesa in ottica federale (un’idea di riforma fiscale, vera, di cui magari riparleremo un’altra volta più approfonditamente) e che si lega alla riforma accennata poco sopra di cui, però, non si ha alcuna notizia certa, tranne che sarà presentata come legge delega e questo non fa ben sperare, dovendo fronteggiare un indebitamento crescente.

Parlando di scuola, dopo le amenità estive su banchi a rotelle e il tira e molla sulle norme per la riapertura degli istituti dopo il lungo lockdown primaverile, buona l’idea di accelerare le procedure per gli interventi infrastrutturali con una gestione commissariale dei sindaci e presidenti di provincia fino a fine 2021 e dell’incremento del fondo per la ricerca, anche se di soli 65 milioni di euro.

A questo si aggiungono altri provvedimenti, alcuni assai opinabili, tra cui le agevolazione per l’acquisto di veicoli ibridi o elettrici, per l’assunzione di nuovo personale nella PA e altro. Manca qualcosa? Ah sì… i fondi!

La strutturazione della bozza di Bilancio è stata realizzata per poter accedere al Recovery Fund, quindi agli oltre 80mld a fondo perso e a circa 120mld a tasso agevolato con cui finanziare ogni provvedimento e limitare la servitù del debito, evitando nuove emissioni che, come l’ultimo BTP Futura, non sono state certo entusiasmanti, nonostante i tassi contenuti.

Il problema è che il bilancio dell’Unione Europea sia stato bocciato! La bocciatura nasce dal veto di Ungheria e Polonia al pacchetto di misure da 1’800 miliardi di euro che comprende sia il bilancio dell’Unione sia il Recovery Fund.

L’azione nasce dalla condizionalità posta per l’accesso alle somme del secondo e degli altri fondi europei che implicano il rispetto dello stato di diritto, la cui violazione è stata contestata dai due Paesi membri ribelli.

Se l’impasse non fosse superata entro la fine dell’anno l’UE si troverebbe a dover aprire il 2021 in esercizio provvisorio, con la possibilità di mandare avanti solo la gestione ordinaria e bloccando sine die, di fatto, l’adozione del Recovery Fund e la distribuzione dei finanziamenti agli Stati membri.

La situazione è sicuramente ingarbugliata, solo qualche giorno fa il Premier Conte e il ministro Gualtieri avevano dichiarato che non si sarebbe stata alcuna necessità di prevedere degli ulteriori scostamenti di bilancio pur avendo già spostato quasi tre miliardi e mezzo di euro al 2021 con il “Decreto Ristori” ma, oggi, sembra che occorra prevedere un ulteriore aggravio tra i 18 e i 20 miliardi che dovrà essere finanziato in deficit.

Per evitare un colpo pesantissimo al bilancio italiano il Recovery Fund serve come l’acqua ad un assetato, anche perché buona parte di quel fondo è già stata spesa o messa a copertura di provvedimenti nel futuro prossimo e, a questo punto, se i fondi relativi al programma Next Generation EU non arrivassero o, per lo meno, fossero erogati in ritardo il vero dilemma può essere indicato dal titolo di un celebre romanzo di Lenin: “Che Fare?”.

In questo senso, infatti, solo pochi giorni fa è stato votato un nuovo scostamento di bilancio di 8 miliardi per poter rinviare al 30 aprile la scadenza delle imposte per chi abbia avuto delle perdite causa Covid e per un nuovo “Decreto Ristori” per dare un contributo anche a lavoratori autonomi e partite IVA.

Proprio l’impasse sull’approvazione del bilancio UE e il rinvio a data da destinarsi del Recovery Fund ha spinto la necessità di approvare delle nuove misure straordinarie per sostenere l’economia e, infatti, queste hanno trovato un sostegno bipartisan anche da parte delle forze di opposizione che hanno votato, quasi, all’unanimità il provvedimento. Lo possiamo considerare un atto di responsabilità? Solo in parte.

La Commissione UE, infatti, ha dato il via libera alla bozza di bilancio italiana non senza un certo timore, rilevando l’incremento del debito tendenziale al 159,6% del PIL a fine anno, cioè 20 punti percentuali di crescita in un anno, ben conscia della necessità di sostegno all’economia tramite denaro pubblico, indicando però, che le misure messe in campo debbano essere straordinarie e temporanee ed accompagnate da un programma di riforme e investimenti mirati che permettano di riagguantare la ripresa garantendo la sostenibilità della finanza pubblica anche a medio termine.

Questo significa che occorra un cambio di passo da parte del Governo, visto che le prime dosi di vaccino potrebbero essere disponibili da gennaio ma, per avere una copertura efficace, fino all’estate il rischio di contagio potrebbe essere ancora presente bisogna smettere di ipotizzare solo chiusure a singhiozzo o limitazioni nelle attività dei cittadini ma iniziare a prevedere un piano serio di riapertura, in sicurezza e con i presidi sanitari rafforzati.

Non è possibile pensare di poter continuare a vivere di ristori e bonus, tra l’altro a debito che qualcuno, nel futuro più o meno prossimo, dovrà ripagare anche se questo discorso non è elettoralmente appetibile, soprattutto dopo la campagna comunicativa degli ultimi mesi. È necessario che le attività riprendano e che si ricominci a produrre ricchezza e risorse per finanziare non solo uno stile di vita “normale” ma anche e soprattutto il sistema sanitario e di prevenzione.

Prima di poter redistribuire le risorse queste vanno prodotte e la gestione della pandemia ha messo un freno a questo processo che deve ripartire, destinando, quindi, i fondi a investimenti strutturali che possano riportare il sistema Italia, gravemente ferito oggi, verso un sentiero di crescita sostenibile e duraturo.