Price cap: ad ottobre la decisione definitiva del G7

Eppur si muove“: potremmo commentare così, con riferimento ai problemi dell’energia, le decisioni assunte dal G7 svoltosi nei giorni scorsi in Baviera. Il governo italiano, attraverso Mario Draghi insiste da tempo per l’adozione in sede europea e internazionale del c.d. price cap ovvero di un tetto massimo a cui attenersi per le forniture del gas russo, accompagnata dal rafforzamento dell’utilizzo di altre fonti di approvvigionamenti al fine di diminuire la dipendenza dalla Russia. La decisione formale (e definitiva?) su questo punto resta affidata al vertice di ottobre. Nessun anticipo, quindi.

Almeno in via di principio – tuttavia – l’operazione ha compiuto qualche progresso. I Paesi UE membri del G7 sono riusciti a vincere la riluttanza degli Stati Uniti rispetto all’adozione di un price cap sul gas.  Il comunicato finale del vertice riconosce, infatti, la decisione dei Paesi UE membri del G7 di individuare le modalità più idonee per implementare un generico tetto al prezzo dell’energia: un primo passo significativo, ma ancora tutto da implementare e che non colpirà Mosca nell’immediato. Per quanto riguarda invece il petrolio, il linguaggio del comunicato è più esplicito e conferma l’intenzione del G7 di limitare tutte le esportazioni marittime di greggio russo, “a meno che non venga venduto al di sotto di un certo prezzo definito in consultazione con partner internazionali”.

Nei giorni precedenti Mario Draghi aveva indicato la questione dell’energia e delle sue ricadute sull’inflazione come l’occasione di un rilancio, in autunno, delle forze populiste, che spettava ai governi contrastare con politiche adeguate. Draghi, durante la conferenza stampa, ha voluto sottolineare alcune iniziative effettuate durante i giorni del vertice: l’invito e gli incontri con altri Paesi africani, asiatici e latinoamericani. Il che potrebbe essere una risposta alla convocazione dei Brics da parte  della Russia. Importante è anche l’osservazione del premier sulle penalizzazioni che ricadrebbero sul continente africano (30% della popolazione a fronte dl 3% delle emissioni di CO2) se quelle economie dovessero sottostare alle disposizioni assunte nell’ambito della green economy, per le quali, nonostante le riconferme ad ogni piè sospinto, tira ovunque un’aria di revisione almeno nella fase di affrancamento dalla dipendenza russa.

Intanto vi sono notizie incoraggianti per quanto riguarda il nostro Paese. Oggi la maggiore fornitura di gas proviene dall’Algeria e da altre fonti di approvvigionamento di cui si è ampliato l’utilizzo. Il ministro Cingolani ha assicurato che riusciremo ad accantonare e a stoccare le scorte necessarie in previsione dell’inverno. Ma questo risultato pur importante, non ci salverà dall’aumento dei costi e quindi dal rischio di un più alto tasso di inflazione. E’ il mercato, bellezza! Se si riducono la produzione e l’offerta (Gazprom lo ha già fatto per suo conto), è inevitabile che i prezzi aumentino. Dal G7 è uscito l’impegno a preparare un piano con l’indicazione dei tempi e delle modalità per l’introduzione del price cap, in modo che ad ottobre il Consiglio possa prendere una decisione consapevole e definitiva. Ma l’operazione non è facile. Non solo per le preoccupazioni che alcuni Stati (tra cui la Germania) evidenziano rispetto ai loro fabbisogni, ma anche per la complessità dell’iniziativa; perché non è scontato che la Russia stia a guardare e faccia decidere ai clienti il prezzo delle forniture di gas. Si prefigura una corsa a chi riesce per primo ad avere meno bisogno dell’altro: il che significa, per i Paesi dell’Unione, guadagnare la propria autonomia energetica (o quanto meno l’approdo su altri mercati); per la Russia significa vendere altrove la propria merce.

Il fatto è che di mezzo, per una parte e per l’altra, c’è la rete di distribuzione pensata e costruita per vendere ed acquistare gas prodotto in Russia. Per certi versi, in questa rincorsa l’Europa parte avvantaggiata, perché vi sono strutture e gasdotti in grado di bypassare la produzione russa (si pensi alla Tap o ai canali con il Nord Europa e con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo). La ricerca di vie di rifornimento alternative (verso la Cina o l’India?) sembra essere un po’ più complessa – sul piano dei collegamenti operativi – nel caso della Russia.