Presidi, non burocrati

Scegliere di andare oltre l’insegnamento per assumere responsabilità più dirette nella gestione della scuola non significa di per sé rinnegare la gratuità dell’impegno educativo. Almeno in teoria e fino al passato recente quando la scuola poteva dirsi ancora un ambiente dimensionalmente e relazionalmente accettabile.

Tramontate le vecchie figure del Presidente e del Direttore il sistema dell’istruzione si è voluto dotare di una nuova figura assimilabile al mondo produttivo: il dirigente, ruolo guida di “aziende scolastiche” quanto mai vaste come Istituti Comprensivi che riuniscono decine e decine di insegnanti, centinaia di studenti e altrettante famiglie.

Le responsabilità dei dirigenti sono molteplici e diversificate in relazione al grande numero di persone e di attività da gestire. Viene chiesto loro di assommare in sé caratteristiche di controllori, promotori, imprenditori con l’attribuzione di compiti manageriali che non rientrano nella loro origine di insegnanti e che le persone spesso non sentono di possedere.

Ma la scuola non è certo un’azienda e i compiti di gestione finiscono per tradursi inevitabilmente in assolvimenti burocratici, che i dirigenti tendono a trasferire ai docenti. Al di là dell’innumerevole quantità di atti formali che portano ad appesantire notevolmente il lavoro formativo con i ragazzi, la burocratizzazione comporta un danno ben più grave che è la standardizzazione del lavoro, il suo irrigidimento in schemi consumati che obbediscono alla logica dell’immobilismo pedagogico. Il dirigente rischia di diventare, volente o nolente, la lunga mano del sistema scolastico, il suo fedele controllore nei confronti della base.

Nasce così la conflittualità con gli insegnanti che trovano a volte davvero difficile percepire la sua figura come alleata, di sostegno al proprio lavoro; i contrasti creano malessere e scontento che si ripercuotono nella vita delle classi e nei rapporti con le famiglie.

Non è facile essere dirigenti nella scuola d’oggi e ancor meno essere dirigenti illuminati ma la capacità del sistema dell’istruzione di evolversi dipende da questo. Il potere culturale di questa figura è forte e non è stato sostanzialmente intaccato dal processo di democratizzazione avviata con gli organi collegiali. Egli continua a possedere una grande influenza sulle scelte educative, didattiche e organizzative.

Qualsiasi apertura pedagogica potrà quindi realizzarsi solo a condizione che tale potere sia utilizzato gratuitamente, a favore dei ragazzi e del lavoro svolto con loro e per loro. Usarlo per difendere le proprie spalle, la propria carriera, significa lavorare per una scuola vuota, fatta di muri e regolamenti. Vuol dire, in pratica, alimentare la scuola del malessere di tanti ragazzi e bambini e accettare quella del profitto.