Un “ponte virtuale” per la salute tra Africa ed Europa

ABEC, African Biomedical Engineering Consortium, è un consorzio di università di ingegneria biomedica in Africa. All’interno di questa rete, il centro di ricerca E. Piaggio, centro di ricerca multidisciplinare e di trasferimento tecnologico dell’Università di Pisa che opera nel campo della robotica e della bioingegneria, ha promosso il progetto UBORA, finanziato nell’ambito del Programma Horizon, con sei partner: la Kenyatta University (Kenya), il Royal Institute of Technology (Svezia), la University of Tartu (Estonia), il Technical University of Madrid (Spagna), l’Uganda Industrial Research Institute (Uganda) e l’azienda estone AgileWorks.

Il finanziamento, di quasi un milione di euro (400mila euro la quota dell’ateneo pisano), è servito per costruire tra Europa e Africa una piattaforma virtuale per condividere nuove soluzioni, basate su tecnologie open source, in grado di dare risposte alle sfide nel campo della salute.

Con l’arrivo del Covid, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha posto il livello di attenzione “alto” sui Paesi più poveri affinché pratichino tamponi in maniera massiccia. Il livello alto di attenzione deriva dal fatto che in molte di queste nazioni non ci sono fondi sufficienti per affrontare un volume di test così intenso. E, come avverte l’Organizzazione, si rischia il collasso economico, oltre che sanitario…

Nel frattempo, paesi come il Marocco, hanno iniziato a chiudere i confini e altri, come la Tanzania, hanno chiuso le scuole. “L’Africa è un rischio enorme, – ha dichiarato il professor Walter Ricciardi, consigliere del ministro della salute Speranza – come facciamo a dire alle persone di lavarsi le mani se in milioni non hanno nemmeno l’acqua potabile? Figuriamoci il sapone…”.

“Il nostro migliore consiglio all’Africa è prepararsi per il peggio – ha invece detto il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nel suo briefing sul Covid-19 – Il mio continente deve svegliarsi, abbiamo visto cosa è successo negli altri Paesi e continenti!”
Ora la necessità è quella di dotare presidi medici o ospedali, localizzati in zone non sviluppate, di dispositivi biomedicali adeguati al fabbisogno, anche in presenza di personale tecnico e medico preparato.

Il settore biomedicale, infatti, è caratterizzato da costi alti, dovuti anche agli altissimi standard di sicurezza, che impediscono agli Stati più poveri l’approvvigionamento di molti presidi medici.

UBORA, che in Swahili vuol dire “eccellenza”, è un progetto di ricerca che vuole sviluppare e rendere sempre più efficiente una piattaforma per la coprogettazione di dispositivi biomedicali, con lo scopo principale di innovare il settore, abbassare i costi e, elemento di grande importanza, rispettare i contesti territoriali e sociali dentro i quali si vuole intervenire.

Questo significa, ad esempio, considerare la difficoltà di approvvigionamento costante di energia elettrica o, piuttosto, progettare dispositivi che possano utilizzare materiali locali (ad esempio materiali plastici di riciclo, fibre vegetali, ecc.). Una sorta, quindi, di “Wikipedia dei progetti di dispositivi biomedicali” che, attraverso modelli di condivisione e di collaborazione, unisce diverse competenze disponibili nei centri universitari, negli enti ospedalieri e nell’industria, favorendo lo sviluppo di dispositivi biomedicali e promuovendo nuove modalità di apprendimento e di insegnamento (la modalità si chiama CDIO: “conceived-design-implement-operate”.

Tra tutti i prototipi realizzati sono stati sviluppati un defibrillatore automatico intelligente, grazie ad elevati algoritmi di riconoscimento del battito cardiaco, un tutore per le slogature che, una volta realizzato con la stampa tridimensionale, si adatta automaticamente alle dimensioni del paziente e una “baby warmer”: una culla riscaldata per il trasporto in ospedale di neonati con patologie realizzata con un materiale a base cerosa disponibile in Uganda. Di Ubora si diceva già un gran bene prima, poi è arrivato il Covid ed è diventato lo strumento con il quale studenti e docenti hanno inventato e realizzato ventilatori, respiratori, mascherine, filtri, ovvero tutto quello che poteva servire a tenere sotto controllo il virus.

Una delle migliori realizzazioni è il “Tiba Vent”: un ventilatore a basso costo ideato e realizzato da un team di quindici studenti della Kenyatta University di Nairobi, che sembrerebbe aver già salvato migliaia di vite…! Fidel Makatia, leader del progetto, e la sua professoressa June Madete, iniziatrice dell’iniziativa, sono state invitate a raccontare il loro progetto durante la Opening Conference di Maker Faire Rome, una decina di giorni fa…
“Attualmente sono circa 1.200 le persone che utilizzano la piattaforma virtuale per studiare e progettare dispositivi medici. Piattaforma – sottolinea Arti Ahluwalia, direttrice del centro di ricerca E. Piaggio, – che ha mostrato ancora di più la sua efficacia e la sua utilità nel periodo di lockdown legato alla pandemia di Covid-19, dando la possibilità agli utenti di ogni parte del mondo di rimanere in contatto senza interruzioni e di lavorare comunque insieme allo sviluppo di soluzioni utili nell’emergenza come dispositivi di protezione e ventilatori”.

“UBORA fornisce una sorta di schema di progetto -conclude il ricercatore Carmelo De Maria – che permette a chi ha un’idea che vuole sviluppare di sapere come raggiungere l’obiettivo, attraverso quali step, potendo contare sull’apporto di altri utenti che possono avere il know how utile per realizzare quel prodotto. L’idea alla base di UBORA è che l’accesso a strumentazione medica di qualità debba essere garantito a tutti e questo obiettivo si possa raggiungere solo rispettando quelle che sono le specificità locali.

I primi a credere in UBORA sono stati i Paesi che ne avevano più bisogno, come ad esempio il Kenya. In questo momento è importante concentrare gli sforzi della ricerca per il cambiamento. C’è proprio bisogno di cambiare: cambiare i paradigmi, cambiare il nostro impatto sul pianeta, sull’ambiente. UBORA fa la sua parte cambiando il modo di progettare e realizzare dispositivi medicali, basandosi sulla collaborazione, sullo scambio di conoscenze e sulla capacità di adattare le tecnologie per la salute alle necessità locali. UBORA è un esempio di collaborazione scientifica mondiale e di interdisciplinarietà”.

Almeno due sono gli ambiti interessati dal progetto: il mercato, perché l’approccio di UBORA può contribuire a innovare il settore e ad abbassare i costi, aprendo al contempo spazi di mercato a nuovi operatori e portando benefici, non sono solo per i paesi africani e le professionalità locali coinvolte nel progetto, ma anche per tutto il resto del mondo, Europa compresa… e la formazione, perché si basa su un approccio del “capire facendo”.

Ubora non è soltanto un altro sito web: è un altro modo di concepire la ricerca scientifica. Aperto, condiviso, non guidato dal profitto. “È la speranza“, come ha detto Arti Ahluwalia, “di una democratizzazione della medicina e della salute!”. La strada per una medicina democratica, alla portata di tutti, aperta, condivisa e non guidata dal profitto. Speriamo!