Pillole per cambiare sesso ai bambini: perché?

L’ideologia gender, concepita  negli anni Cinquanta, s’innesta nella rivoluzione femminista degli anni Sessanta/Settanta, matura negli anni Ottanta divenendo norma politica mondiale alla Conferenza internazionale Onu sulla donna che si svolse a Pechino nel 1995. L’ideologia ritiene il sesso un elemento discriminatorio contrario alla parità e ai diritti, decostruendo quindi la struttura antropologica maschile e femminile e sostituendo la persona maschio o femmina in un individuo asessuato o pansessuato, detentore del diritto di autodeterminarsi.

Lascia perplessi rilevare come anche nel nostro Paese tale ideologia si stia subdolamente diffondendo, anche attraverso corsi di educazione sessuale nelle scuole. E ora giunge dall’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) un’ulteriore accelerata all’introduzione del gender nella società, con l’ammissione tra i medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) della Triptorelina per i bambini con disforia di genere che desiderano cambiare sesso.

Questo farmaco, non scevro da effetti collaterali importanti ( ictus, nausea, insonnia, cefalea, gastrite, depressione ecc.), finora ha trovato il suo impiego nel curare tumori ormono-dipendenti quali cancro della prostata o della mammella o squilibri ormonali. Può ritardare inoltre, inibendo la secrezione ipofisaria delle gonadotropine Lh ed Fsh, lo sviluppo puberale di quei bambini che non accettano il proprio sesso facilitando in tal modo una eventuale successiva correzione chirurgica.

Tutto ciò porterà se non ad un aumento quasi certamente ad un’incentivo di tali metodiche laddove è dimostrato al contrario che circa il 90% delle disforie di genere tendono a regredire spontaneamente proprio con il raggiungimento della maturità sessuale. Non a caso, in linea con questa teoria di genere che Papa Francesco definisce “L’utopia del Neutro”, l’Unione Europea ha raccomandato agli Stati membri di “assicurare che la diversità di genere nei bambini non sia definita patologica”, tanto che nel Regno Unito seguendo tali direttive si è passati dai 97 casi di gender del 2009, ai 1013  del 2015, fino ad una previsione di circa 2600 bambini nel biennio 2017/2018.

Risulta pertanto parimenti prevedibile come questa cultura della disforia di genere se non prevenuta e contenuta a breve si diffonderà anche nel nostro Paese, in questo sostenuta da interessi economici delle case farmaceutiche e da quelli privatistici delle case di cura specializzate nella chirurgia ricostruttiva urogenitale.

Stefano Ojetti – vicepresidente nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci)