Perché non si voterà in primavera

D’accordo, un fine settimana non fa primavera. E l’attesa per la sentenza della Consulta, chiamata a decidere sulla legge elettorale, che ha congelato il Paese più di quanto non faccia il clima rigido di queste settimane, non aiuta certo a decifrare le carte della politica. Però il week end appena passato, denso di interviste e pieno di segnali di fumo, ha lasciato sul tavolo seri indizi su quale potrebbe essere l’agenda dei prossimi mesi. Le interviste speculari di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, con le inevitabili reazioni, le pagelle dei sindaci e dei governatori e il cambio di rotta della Germania e della Ue nei confronti del nostro Paese sono i tasselli di questo mosaico da decifrare con attenzione. Soprattutto se si vuole capire se davvero si voterà in primavera o no.

Partiamo dall’ex premier. Matteo Renzi terrà a battesimo, in settimana, la nuova segreteria dem con alcune novità nelle presenze come lo scrittore Gianrico Carofiglio. Ma il vero pallino del leader piddino è uno solo: il programma elettorale al quale lavorerà lui stesso con Tommaso Nannicini e un intero team composto da sindaci e da esponenti della società civile. Nell’intervista di domenica a Repubblica, il leader dem non ha scoperto le carte sul rilancio del partito, compito a cui si dedicherà a tempo pieno nei prossimi mesi oltre a seguire la partita della legge elettorale. Ma ha fissato alcuni punti, a partire dalla necessità di energie fresche, ammettendo che, al di là dei toni, Roberto Saviano aveva ragione a criticare il suo asse al Sud con il “notabilato”, incarnato in primis da Vincenzo De Luca. Non un dettaglio ma un elemento chiave questo.

Nella classifica stilata dal Sole 24 Ore tra i governatori primeggia il Veneto con Luca Zaia, l’uomo emergente della Lega al primo posto col 60% dei consensi, seguito da Enrico Rossi del Pd, a capo della Toscana, che guadagna il 9% rispetto alla precedente rilevazione e si ferma al 57%. Rossi punta anche alla segreteria del partito. Medaglia di bronzo al presidente della Lombardia Roberto Maroni che arriva al 54%. Alle ultime tre posizioni i governatori di centrosinistra del Friuli-Venezia Giulia Debora Serracchiani (-6,4%), della Sardegna Francesco Pigliaru (-12,5%) e della Sicilia Rosario Crocetta (-3,5%). Dunque in periferia il Pd è una vera e propria catastrofe. E Renzi non può non tenerne conto. Non a caso nell’intervista non calca la mano sul voto.

Il ballottaggio, che “è il modo per evitare inciuci, governissimi e larghe intese che non servono al paese”, oppure il Mattarellum. E, soprattutto, una netta predilezione per un sistema maggioritario in antitesi con il proporzionale preferito da Forza Italia, come ha rimarcato Silvio Berlusconi nell’intervista al Corriere della Sera. Chiacchierata tattica più che tecnica dato che il centrodestra, al momento, non esiste. “Io mi presenterei alle elezioni anche domani mattina con le primarie: ho letto che Berlusconi dice ‘se Strasburgo mi riabilita il candidato sono io’. E chi lo ha detto? Non è nei dieci comandamenti che il candidato del centrodestra sarà a vita Berlusconi”, sostiene il leader della Lega, Matteo Salvini. Con i governatori del Carroccio che volano nei sondaggi e nelle classifiche di gradimento Berlusconi non può certo pensare di andare al voto senza la Lega al proprio fianco. Sarebbe pura follia. E anche i grillini, con il crollo della Raggi a Roma e il successo della Appendino a Torino non stanno troppo bene. I pentastellati avrebbero dalla loro una parte del Nord ma non certo il centro-sud. Dunque la sentenza della Consulta, a questo punto, fa comodo a tutti e, molto verosimilmente, non si andrà al voto in primavera ma ben oltre quella scadenza.

Le condizioni di base non ci sono e anche chi invoca le urne le teme, forse più degli altri. Stando alle posizioni ufficiali, soltanto Movimento 5 Stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia vogliono andare a votare con l’attuale sistema elettorale (che lo stesso M5S aveva definito “Fascista”). Oltre alle ragioni tattiche – il ballottaggio previsto dall’Italicum potrebbe favorire il partito di Beppe Grillo – ce ne sono altre più sostanziose. Il sistema elettorale italiano al momento è caotico e incoerente: ci sono due leggi elettorali completamente diverse, una per la Camera e una per il Senato. Quella per la Camera è l’Italicum, una legge creata per produrre in ogni circostanza una netta maggioranza. Questo obbiettivo è garantito da un grosso premio di maggioranza che viene assegnato a chi ottiene il 40 per cento dei consensi su base nazionale o vince un ballottaggio tra i due partiti più votati. L’Italicum vale solo per la Camera, e non solo perché la Costituzione prevede che il Senato sia eletto a base regionale: durante le trattative per la sua approvazione si decise di non estenderlo al Senato, nemmeno modificandolo, per legare in qualche modo la sua effettiva applicazione all’approvazione della riforma costituzionale, e rassicurare così chi temeva che subito dopo l’approvazione della legge elettorale il governo Renzi avrebbe dato le dimissioni per tornare a votare subito. Dall’altra parte, l’attuale tripolarismo italiano – dove circa tre partiti o coalizioni hanno più o meno un terzo dei voti ciascuno – può essere “disinnescato” col premio di maggioranza nazionale, come quello della Camera, ma non con molti premi di maggioranza regionali come sarebbe dovuto avvenire al Senato, facendo saltare così la principale caratteristica dell’Italicum, cioè la garanzia di avere sempre una netta maggioranza in Parlamento per chi ha un voto in più degli altri.

Insomma è chiaro a tutti che, a parole, le urne vengono invocate come la soluzione alla palude ma nella realtà fanno paura più della palude stessa. Se si votasse domani con le due leggi elettorali in vigore il risultato, probabilmente, sarebbe una Camera con una netta maggioranza del Pd o del Movimento 5 Stelle (al momento i due principali partiti secondo i sondaggi) e un Senato spezzettato e non in grado di formare una maggioranza. Anche per questa ragione quasi tutti i partiti sono d’accordo, almeno a parole, nel voler adottare una nuova legge elettorale, che sia più organica e che renda possibile la formazione se non di una maggioranza di coalizione “monocolore” almeno una di larga coalizione, cioè tra centrodestra e centrosinistra. Ecco perché un fine settimana non fa primavera, ma aiuta a capire.