L’attuale circolazione di Omicron 5 che determina un elevato numero sia di casi di infezione che di reinfezione (in questo momento oltre il 12%), fa sorgere nell’opinione pubblica la legittima domanda, quale sarà lo scenario futuro dei prossimi mesi (e forse dei prossimi anni) riguardo a COVID-19. Una possibile risposta a questa domanda coinvolge il ruolo del sistema immunitario che, come è noto, non solo protegge nei confronti dell’infezione/malattia acuta, ma conserva anche la memoria immunitaria a lungo termine che è in grado di contenere l’insorgenza di forme gravi di malattia e ridurre la circolazione degli agenti patogeni.
Anche se SARS-CoV-1 e SARS-CoV-2 sono molto diversi dagli altri componenti la famiglia dei coronavirus, presentano comunque dei tratti comuni con i virus denominati HCoV che sono responsabili del comune raffreddore e di forme minori di malattia respiratoria, verso i quali il nostro organismo conserva una lunga memoria immunitaria. Per questo motivo, è noto che, mentre i bambini si ammalano frequentemente a seguito del contatto con i coronavirus del raffreddore, gli adulti che hanno una memoria immunitaria più efficace, tendono a contrarre questi virus del raffreddore molto più raramente, spesso con una ciclicità di diversi anni. A questo proposito, lo studio degli anticorpi e delle cellule T di adulti sani ha permesso di identificare una reattività crociata tra HCoV e SARS-CoV-2 che potrebbe proteggere dalle forme gravi causate da quest’ultimo virus. Inoltre, se trova conferma che nei confronti dei coronavirus responsabili del comune raffreddore, l’immunità tende a crescere nella popolazione a seguito delle esposizioni e delle reinfezioni, è lecito ipotizzare che con l’aumento dell’immunità verso SARS-COV-2 di tipo vaccinale, naturale (a seguito dell’infezione) ed ibrida (infezione + vaccino), si verificherà una progressiva riduzione della gravità dei sintomi e delle forme gravi di malattia COVID-19.
Del resto, contrariamente a quanto si poteva pensare all’inizio della pandemia, SARS-CoV-2 non è destinato a scomparire, come è avvenuto per SARS-COV-1 nel 2003, ma continuerà a circolare in modo endemico per un lungo tempo (oggi non quantizzabile) causando sempre meno forme gravi di malattia, a patto che ci sia una costante attenzione nei confronti della vaccinazione e dei suoi richiami che conferiscono un livello di protezione stabile. In questa particolare fase della pandemia, ci si interroga sulla possibile diffusione, nei prossimi mesi invernali, di COVID-19 e sul ruolo che questo avrà nella circolazione di altri virus respiratori. A questo proposito, un editoriale ha ipotizzato che la pandemia COVID-19 può interferire con la diffusione di altre infezioni respiratorie, come del resto si è verificato nelle stagioni invernali 2021 e 2022, nel corso delle quali livelli elevati di COVID-19 hanno determinato misure stringenti di prevenzione, del tipo: distanziamento fisico ed uso mascherine.
Questi provvedimenti hanno determinato tassi incredibilmente bassi di incidenza delle usuali infezioni virali respiratorie, compresa anche l’influenza. Inoltre, i lunghi periodi di lockdown e di restrizione della mobilità nei quali i virus respiratori non hanno circolato, hanno determinato una riduzione della risposta immunitaria negli individui esposti, il che si è tradotto in alcuni paesi, come in Australia, ad un aumento dei tassi di infezioni respiratorie e di influenza che hanno causato anche forme gravi di malattia. Contemporaneamente a ciò, c’è stata, in alcuni paesi, anche una preoccupante diminuzione della somministrazione dei vaccini antiinfluenzali, come negli Stati Uniti, dove oltre 9 milioni di adulti non si sono vaccinati, pur essendo di età superiore a 65 anni o con patologie sottostanti. Per questo motivo, in futuro, bisognerà attentamente valutare gli sviluppi della pandemia COVID-19 non solo per approntare idonee misure di contrasto nei confronti di questa, ma anche per comprendere meglio l’eventuale diffusione e/o co-circolazione dei virus respiratori.
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