Perché sarà un autunno caldo

Certo, con molta probabilità passeremo la parte centrale dell’estate a parlare di immigrati e immigrazione, di navi e barconi, porti aperti e chiusi. E di magliette, di tutti i colori. Che daranno un po’ di folklore al dibattito politico. Il quale, grazie al ritorno in grande stile di feste e festival di ogni tipo (in realtà si tratta di kermesse d’arte varia e quelle dedicate ai libri sono l’alibi perfetto, messe su solo per ospitare il politico preferito per farsi un po’ di selfie, magari a spese del contribuente) non andrà mai in vacanza.

Ce ne sarà per tutti i gusti, anche a Ferragosto. In fondo la cifra stilistica di questo governo, e della sua maggioranza, è condensabile nella logica della strategia dell’attenzione. Ogni giorno c’è bisogno di un argomento da dare in pasto all’opinione pubblica, altrimenti sai che noia al bar o sotto l’ombrellone. D’altro canto anche l’opposizione, in particolare quella del Pd, usa lo stesso metodo. Il dibattito in corso all’interno del partito guidato da Martina assomiglia sempre più ad una guerra civile, con i renziani determinati a tenere le posizioni mentre gli antirenziani cercano di far saltare le casematte tirate su dal giglio magico in questi anni. Al Nazareno, il film da girare durante l’estate, promette continui colpi di scena.

Forza Italia, invece, essendo alla ricerca di un centro di gravità, venendo sempre meno la capacità di attrazione del vecchio leader Silvio Berlusconi, si ritrova a recitare a soggetto, seguendo canovacci antichi e nuovi. Ma tutti all’impronta, privi di un vero testo. Ecco, messa così viene quasi da dire che non sarà l’estate della noia, ma della gioia per retroscenisti di professione e analisti a gettone, sempre più determinati a voler creare armi di distrazione di massa, aggredendo i temi deboli e lasciando fuori quelli forti. In pratica ammettere che il governo giallo verde sta mettendo le mani in problemi nei quali nessuno, sino ad oggi,  veva voluto guardare dentro, nemmeno per sbaglio, non paga. Ciò che “rende” è andare contro, a prescindere.

Ovviamente non tutto è condivisibile e accettabile, ci mancherebbe, ma la critica preventiva è fastidiosa tanto quanto la lezione morale che l’Europa ci impartisce da anni. Ben sapendo che certi comportamenti sono figli legittimi delle politiche dettate dalla Ue. L’esecutivo in carica sta provando a mettere Bruxelles di fronte alle proprie responsabilità. E proprio in nome e per conto di questa logica non si può non aver presente il fatto che il prossimo sarà un autunno caldo per il nostro Paese. Soprattutto per i conti e le finanze. E qui entra in ballo il convitato di pietra di Palazzo Chigi: il direttorio della Bce e Mario Draghi. Dunque le politiche della Banca centrale europea e gli acquisti che hanno tenuto a galla i bilanci dell’Italia. Nonostante i dati macro economici non abbiano offerto certezze nelle settimane recenti – fiacche la fiducia delle imprese e dei consumatori in Europa, in calo gli ordini industriali tedeschi, di poco migliori i numeri sull’inflazione – l’istituto di Francoforte non ha ritenuto necessario concedersi un ulteriore mese di attesa, per analizzare i dati di giugno e luglio per valutare se il rallentamento osservato nella prima parte del 2018 sia stato superato o meno. Detto ciò il programma di Qantitative easing avrà termine a fine 2018 con acquisti mensili da ottobre a dicembre ridotti a 15 miliardi.

Un messaggio stentoreo per il futuro dell’Italia, al quale il numero due della Bce ha rivolto l’invito a rileggere le regole del gioco. Alla Bce non può e non deve essere chiesto di intervenire in soccorso di mercati in difficoltà, laddove tale “disordine” sia motivato da intenzioni e dichiarazioni politiche che siano palesemente in contrasto con le regole sottoscritte dai tutti i paesi membri dell’area Euro. Peraltro, nonostante l’espressione non piaccia a molti politici, i mercati stessi inducono alla disciplina: il drammatico allargamento dello spread non passa inosservato anche ai politici e allarma anche chi pretende che la politica nazionale non debba essere dettata dalla finanza. Tanto più che l’Italia deve collocare ogni due settimane importi rilevanti di titoli di Stato sul mercato primario e gli investitori devono trovare conforto in dichiarazioni politiche che non facciano presagire misure estreme che possano mettere in discussione le prospettive dell’Italia nell’Euro.

Non appare casuale, in questo contesto, l’intervista rilasciata alla Stampa lo scorso fine settimana dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che si è impegnato sull’euro e sul bilancio pubblico. Lo stesso Di Maio lascia trapelare che il governo inizierà a lavorare su quelle politiche a costo zero – la legge sulla legittima difesa, i flussi migratori, l’abolizione dei vitalizi – che i mercati non hanno ragione di temere. È invece verosimile che i nodi vengano al pettine in autunno – con la legge di bilancio – se la scelta del governo sarà quella di spingere quei punti del programma che richiedano un finanziamento in deficit eccessivo: nell’ordine, neutralizzazione dell’aumento dell’Iva, riforma delle pensioni, reddito di cittadinanza e infine la flat tax. L’obiettivo di un deficit/Pil al 2,9% prospettato da Matteo Salvini appare, al momento, non credibile, a meno di non fare previsioni di crescita del Pil irrealisticamente elevate. La legge finanziaria è dunque la linea del Piave per capire se l’Italia potrà ritrovare stabilità politica in Europa e sui mercati finanziari, rientrando – pur con dei margini di flessibilità – nei ranghi della disciplina fiscale o, viceversa, se si arriverà allo scontro con Bruxelles. Ipotesi quest’ultima che non conviene a nessuno e che non conviene, soprattutto, all’Italia.