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Per Charlie una rivoluzione di unità

Se c’è un insegnamento che il piccolo Charlie Gard sta offrendo a tutti noi, è che non bisogna mai scoraggiarsi. Per quanto un ospedale possa essere considerato un’eccellenza, per quanto il parere dei medici che ci lavorano sia considerato affidabile, nulla può oscurare il lume della speranza che sfida le convinzioni umane. La sua vicenda ci ha insegnato che la vita non è un rigido protocollo medico. Nessuno affetto da patologie simili alla sua è mai sopravvissuto più di sei mesi.

Qualche settimana fa, dopo l’ultimo verdetto della Corte europea dei diritti umani, il destino del piccolo paziente del Great Ormond Street Hospital sembrava scritto: di lì a pochi giorni si attendeva che gli staccassero le spine necessarie per la respirazione.

Eppure la storia non aveva ancora fatto il suo corso. Sebbene sia i medici sia i giudici fossero convinti che nessuna terapia sarebbe stata in grado di curare il piccolo Charlie, un documento preparato da un gruppo internazionale di scienziati ha rimesso le carte in tavola dimostrando che l’ultima parola in campo medico non era stata ancora pronunciata.

Il parere di questa equipe internazionale ha dimostrato non solo che le convinzioni possono essere riviste, ma anche che l’impegno strutturato e capillare di una comunità di persone può risultare estremamente efficace.

La vicenda di Charlie ha gettato i riflettori su un popolo che assume una dimensione globale e che ha saputo andare al di là di divisioni politiche, culturali e linguistiche pur di far trionfare il valore della vita.

Tutto ciò mentre il piccolo inglese di neanche un anno testimoniava che non esistono vite inutili. Egli in appena undici mesi ha compiuto una vera e poderosa meraviglia. Ha lottato come un leone e ha suscitato un dibattito internazionale sul fondamentale tema della difesa della vita.

E in questo dibattito ha fatto sentire la sua viva e forte voce il popolo dei “pro-life”. Quella che si è venuta a creare è una vera e propria rete internazionale che si è mobilitata attraverso tutti i mezzi possibili pur di sostenere il piccolo e la battaglia dei suoi genitori per farlo vivere. È avvenuto un lavoro giuridico, medico, comunicativo che ha agito da dietro le quinte.

L’Italia ha fatto da capofila. È da qui che sono partite le telefonate che hanno intasato i centralini delle ambasciate e di altre sedi istituzionali. È da qui che è partita una raccolta di firme che ha avuto l’adesione ad oggi di oltre mezzo milione di persone. È sempre dal Belpaese che sono partite veglie di preghiera e manifestazioni. Ed è dal genio italiano che è nata l’idea di illuminare di blu i monumenti delle città per solidarizzare con Charlie. Quest’ultima iniziativa ha travalicato i confini nazionali, giungendo fino in Brasile – dove la luce blu ha illuminato finanche il Cristo Redentore di Rio de Janeiro – ma anche negli Stati Uniti e addirittura in Pakistan.

Il caso Charlie Gard, sulla scorta di questa mobilitazione, ci lascia una grande eredità che è nostro dovere non lasciare cadere e non disperdere. Da oggi in poi l’esperienza ci impone di non abbandonarci più al disfattismo, alla convinzione che l’avversario sia sempre più forte, che dunque sia inutile battersi per la tutela della vita.

Il popolo che combatte per la difesa della vita sa essere, se vuole, un grande gruppo di pressione a livello internazionale, suscitando una rivoluzione dell’unità. L’imperativo ora è strutturarci. Non è la fine, ma l’inizio di tutto. E questo mentre bisogna continuare a pregare per Charlie.

Emmanuele Di Leo – presidente Steadfast Onlus

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