Il nuovo “stile Draghi” ed il Decreto Sostegno

L’era Draghi è iniziata, forse, mediaticamente in sordina.

Finito il periodo degli annunci dell’ultimo minuto in diretta sui social, il modus operandi finora mostrato è legato all’azione prima ancora che alla chiacchiera.

Così si è visto con il cambio in corsa del commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 e così con una nuova modalità di comunicazione dei provvedimenti di contenimento dell’epidemia, non più basata su decisioni dell’ultimo minuto, ma mediata con le regioni, prima, e annunciata con giorni di anticipo (seppur opinabile nella metodologia ancora, diciamo, “contiana”).

Dopo l’ultimo DPCM che ha modificato, ancora, la colorazione del territorio nazionale, è giunto il momento della prima vera azione economica da parte del nuovo governo.

Dopo i “ristori” arriva, quindi, il cosiddetto “Decreto Sostegno”.

In attesa della definizione del Recovery Plan e della conseguente erogazione dei fondi da parte dell’Unione Europea, questa azione, necessaria per evitare il collasso di interi settori economici, sarà finanziata da ulteriori 32 miliardi di extra deficit, scommettendo, quindi, sulla tenuta del sistema in attesa dei fondi per i nuovi investimenti e sulla ripartenza dell’economia che, in prospettiva, dovrebbe permettere il rientro dalle poste negative di bilancio con gli introiti fiscali incrementati dalla rinnovata crescita di sistema.

Il provvedimento, che prenderà la forma di Decreto Legge per permetterne l’adozione in tempi brevi, è, oggi, in ritardo e dovrebbe essere promulgato nei prossimi giorni ma dalla bozza che è possibile recuperare anche in rete sembra che ci siano delle novità interessanti oltre che a un piano organico di intervento.

Innanzitutto pare che verrà superato definitivamente l’utilizzo dei codici ATECO per l’assegnazione dei ristori. Cosa questa assai opportuna, perché questi nascono come classificazione statistica per le rilevazioni di ISTAT e sono meramente la traduzione della NACE (Noménclature statistique des activités économiques dans la Communauté européenne) creata da Eurostat per lo stesso motivo. Questi ultimi non sono sicuramente esaustivi nell’identificazione delle attività degli operatori, dovendo descrivere un ecosistema e non un caso specifico e l’utilizzo rigido per poter indirizzare gli indennizzi dovuti alle limitazioni di esercizio o alle chiusure imposte per via normativa ha creato non poche distorsioni a fronte di esclusioni ed errori di valutazione nella quantificazione delle somme.

La valutazione dei rimborsi, quindi, sarà basata su parametri numerari di bilancio, relativi alle predite di fatturato subite e non sulla base di settori statistici e questo è un grande passo avanti.

La previsione è interessante e meno “burocraticizzata” di quelle dei precedenti decreti ristori. Infatti si riconosce un contributo a fondo perduto a favore di tutti i soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professioni titolari di partita IVA, che abbiano conseguito ricavi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta 2019 e il cui ammontare del fatturato e dei corrispettivi dei mesi di gennaio e febbraio 2021 sia stato inferiore ai due terzi di quello relativo allo stesso periodo nel 2019, pre-crisi pandemica, quindi.

A integrazione di quanto sopra, sono stati fissati anche dei valori cap e floor per i contributi fissati a 150.000 euro il primo e a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per gli altri soggetti con una quota di ristoro decrescente rispetto all’ammontare del fatturato dichiarato. Cosa molto interessante, poi, è che il contributo spetti anche a chi abbia iniziato l’attività dopo il 1 gennaio 2019 che fa decadere, ovviamente, il requisito relativo a fatturato e corrispettivi.

Il decreto, poi, comprende il rifinanziamento per un miliardo di euro del Reddito di Cittadinanza, anche se è credibile che l’istituto verrà ridiscusso e, probabilmente, riformato nel futuro prossimo, così come la proroga per altri mesi del cosiddetto Reddito di Emergenza per chi non possa accedere ad altri aiuti.

A questo si aggiunge un’ulteriore proroga della sospensione dei licenziamenti a fine giugno 2021 e della relativa CIG per Covid-19, più il sostegno dei congedi parentali straordinari e dello smart-working (anche se, in generale, sarebbe più corretto parlare di telelavoro, che è una tipologia di lavoro da remoto molto differente).

Una cosa veramente significativa è l’introduzione della previsione di una sorta di “pace fiscale” all’interno del dettato della norma.

Vengono sospesi i termini di pagamento delle cartelle esattoriali con scadenza dall’8 marzo 2020 al 30 aprile 2021 anche se i pagamenti dovranno avvenire in un’unica soluzione entro il prossimo giugno, data che, con molta probabilità, subirà un’ulteriore slittamento o una previsione di ristrutturazione del debito per facilitarne il pagamento.

Stessa previsione per le rate di rottamazione o di saldo e stralcio delle posizioni pregresse con la fissazione di nuove date al 31 luglio per le rate in scadenza nel 2020 e al 30 novembre per quelle in scadenza entro luglio di quest’anno.

Come da anticipazioni riportate sui media negli scorsi giorni, poi, saranno annullati i debiti di importo residuo risultanti dalle cartelle iscritte a ruolo dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2015 e, in più, vengono sospesi i pignoramenti di stipendi e pensioni fino al 30 aprile.

Nel decreto viene inserito, infine, un budget aggiuntivo di spesa di 2,1 miliardi di euro per l’acquisto di vaccini e di farmaci per fronteggiare l’emergenza sanitaria.

Da quanto fin qui descritto, è evidente che si tratti di una bozza organica di intervento relativo alla situazione odierna, volto a coprire tutte le aree critiche che si siano manifestate in questi mesi. È evidente, però, che si tratti di una norma di transizione, in attesa che la situazione divenga più chiara nella possibile evoluzione e che il Recovery Plan sia ultimato e presentato alla Commissione per poter accedere ai fondi necessari al rilancio del Paese, una volta superato il lungo shock pandemico che sta vivendo.

Sì, come detto in incipit, si tratta ancora di debito che andrà a gravare sulle finanze dello Stato ma, da un certo punto di vista, si tratta di fondi già stanziati e, quindi, che non dovrebbero avere grandi impatti a livello di finanza pubblica.

Il problema sorgerebbe se l’Italia, una volta superata l’epidemia, non ricominciasse a crescere e se le riforme necessarie non venissero portate a termine, cosa a cui ci hanno abituato tutti i governi e le maggioranze che si sono susseguite negli ultimi 20 e più anni, nessuno escluso, più interessati a interventi spot emergenziali o di facciata a scopo elettoralistico.

La lunga stagnazione del Paese deriva proprio da questo e si spera che questa crisi possa servire a sbloccare la situazione per consentire la ripartenza dell’intero sistema che non riguarda solo l’economia ma anche tutti i settori della società civile, dalla cultura ai centri di governance, altrimenti la strada del declino sarà sempre più ardua da abbandonare.