Netanyahu: il “nemico” è a destra

Dopo anni di relativa stabilità politica, anche Israele si appresta a rompere gli equilibri politici per far fronte ad una necessità sempre più impellente: rinnovare la propria politica interna per perseguire i propri scopi esterni. Per questo motivo, la tornata elettorale israeliana si prospetta essere la più imprevedibile degli ultimi dieci anni, con un Benjamin Netanyahu in forte difficoltà, indagato per svariati casi di frode e corruzione, ancora al capo del partito di centro-destra Likud, ma sempre meno in controllo della situazione. L’impalcatura del decennale potere di “Bibi” (in capo a Gerusalemme per più tempo di tutti, persino più del Padre della Patria David Ben Gurion) è pesantemente scricchiolata negli ultimi mesi quando, in concomitanza con i primi guai giudiziari, sono arrivate le prime importanti defezioni: il ministro degli Esteri, Avigdor Liebermann, (a capo del partito ebreo-russofono Israel Beitenu, ovvero “Israele è la nostra casa”, costola del Likud) dimessosi con la scusa di non aver approvato la recente linea morbida del premier riguardo Hamas, sembrerebbe aver preso le distanze per preparare il futuro del centrodestra senza Netanyahu, cavalcando l’insofferenza mostrata dall’opinione pubblica nei confronti di una figura giudicata sempre più ingombrante.

Neanche questa volta i laburisti sionisti riusciranno, molto prevedibilmente, a spuntarla. La coalizione anti-Netanyahu, infatti, è composta da figure provenienti sempre dall’ambito politico-militare in passato scontratesi con l’attuale establishment, segno di una palese volontà di proseguire lungo la linea strategica tracciata nei confronti dei principali nemici regionali: unitisi sotto il nome di Kahol Lavan (ovvero bianco e blu, i colori nazionali), l’ex capo delle forze armate Benny Gantz e l’anchorman Yair Lapid sono le figure più accreditate per sfidare, numeri alla mano, il Likud in difficoltà. La coalizione ha già ricevuto due importanti endorsement come quelli di due figure centrali della Difesa israeliana, l’ex ministro Moshe Shalon nonché l’ex capo di Stato maggiore Gabi Ashkenazi. Nessuna sorpresa, infatti, da un punto di vista delle politiche portate avanti dai “volti nuovi”: Gantz è stato per tanti anni un “falco” di Gerusalemme, riconosciuta da egli stesso come unica ed indivisibile capitale, la sua linea contro Palestina ed Iran (anche per motivi strettamente elettorali) si mantiene durissima, nonostante il Likud abbia paventato una sua possibile alleanza con i partiti arabi al fine di screditarlo politicamente. Preoccupano, poi, le contromisure prese da Netanyahu nel tentativo di arginare una popolarità sempre più in discesa, come le alleanze con l’estrema destra religiosa rappresentata dal partito Otzma Yehudit, ovvero “Potere Ebraico”.

L’imprevedibilità del prossimo esito elettorale porta all’elaborazione di diversi scenari tutti possibili, compreso quello che vede la coalizione favorita targata Gantz e Lapid ottenere l’appoggio di buona parte del Likud schierato contro il proprio rappresentante Netanyahu. Nonostante tutto, l’instabilità che regna sui confini israeliani rende le tematiche relative alla gestione della Difesa ancora assolutamente prioritarie nel dibattito elettorale: la non risoluzione della questione palestinese, nonché la partecipazione iraniana al conflitto siriano non lasciano dormire sonni tranquilli a Gerusalemme, come dimostrato dalle numerose volte in cui, negli ultimi mesi, è stato necessario attivare l’Iron Dome (il sistema israeliano di intercettazione missilistica) per difendersi dalle rappresaglie palestinesi. La troppa morbidezza di Netanyahu mostrata negli ultimi mesi potrebbe pesare ancor più negativamente degli scandali giudiziari in cui è stato coinvolto, a maggior ragione se dall’altra parte del dibattito vi è una forza di coalizione ispirata dagli ambienti militari che promette il non arretramento di Israele su nessun dossier. In un Paese in cui la componente ideologica resta prioritaria, la risolutezza mostrata da Bibi nei momenti più “caldi” della storia recente potrebbe non bastare più.