Nell’emergenza difficile pensare al futuro

Con il via libera allo “scostamento di bilancio” il 22 luglio da parte di Camera e Senato, se pur con maggioranze risicate, si apre la partita della manovra di agosto. Prima di parlare di quest’ultima, però, sarebbe opportuno ragionare dei numeri sui quali il Governo possa contare.

Si diceva di maggioranze risicate perché alla Camera i voti favorevoli sono stati 326 con maggioranza necessaria di 316 sì, mentre al Senato i primi sono stati 170 su una maggioranza qualificata richiesta di 160. È evidente che venti teste, tra deputati e senatori, non siano esattamente un margine cospicuo su cui contare per proseguire l’azione di governo una volta finita l’emergenza in corso ma sulla cosa ci torneremo, forse, a tempo debito.

Il focus attuale, quindi, si sposta sull’annunciata manovra di agosto che segue i due altri decreti, Liquidità e Rilancio, che sono stati emanati per contrastare gli effetti economici negativi dovuti alla pandemia in atto.

Già si è detto, in altri interventi passati, l’azione di governo, dal lato economico, mira a contrastare gli effetti negativi della crisi nata con la diffusione del Covid19 e le misure prese per limitarne gli effetti.

Il problema che nasce, ora, però, è che il lockdown e il crollo delle aspettative degli italiani hanno innescato un meccanismo recessivo che porterà, credibilmente, a un crollo a due cifre del PIL alla fine di questo 2020 e, quindi, ogni misura economica intrapresa dovrà essere fatta, obbligatoriamente, lasciando correre il debito che toccherà, secondo previsioni, la quota tra il 155,7% al 157,6% del PIL a fine anno complici, ovviamente, gli oltre 100mld di scostamento votati finora e il deficit già programmato in sede di Legge di Bilancio lo scorso anno.

Tutto questo comporterà una servitù del debito di oltre 43mld tra quest’anno e il 2024.
La sfida, quindi, è volta a reinnescare il ciclo virtuoso di crescita del Paese, per permettere di superare le negatività registrate in questi ultimi mesi e la situazione stagnante che era, ormai, strutturale da anni sfruttando la maggiore flessibilità di bilancio concessa sia dai partner europei sia dal Parlamento.

Questo significa, però, che i futuri interventi dovranno essere volti agli investimenti produttivi, all’istruzione e alla maggiore competitività del sistema, sia dal lato fiscale sia dal lato amministrativo e non nei soliti provvedimenti assistenzialistici e propagandistici a cui ci ha abituato il Governo Conte, in ogni sua veste, in questi anni.

Ovviamente alcuni punti non legati al rilancio ma, piuttosto, al sostegno della domanda interna e dei redditi, in questa situazione, non possano essere evitati come la proroga della Cassa Integrazione Guadagni, nonostante questa sia un istituto assai inefficiente e costoso, così come quella dei “bonus” a sostegno dei professionisti e degli artigiani, unitamente al nuovo previsto per i lavoratori del settore turismo e dello spettacolo.

Legato al mondo del lavoro, però, esce un provvedimento distorsivo come la proroga del blocco dei licenziamenti che potrebbe essere fatale per aziende già provate dal calo della domanda e dalla chiusura imposta dai decreti governativi negli scorsi mesi, per quanto se la cosa fosse rivolta solo e soltanto a quelle imprese che abbiano fatto ricorso alla CIG potrebbe essere una misura di equità.

Veniamo, ora, ai punti positivi a oggi ventilati. È previsto il rafforzamento del fondo di garanzia per le PMI per far fronte all’erogazione dei finanziamenti agevolati da parte del sistema creditizio unitamente, questa è la novità più grande, alla proroga delle scadenze fiscali rinviate a settembre per le aziende delle zone più colpite dal virus unitamente a una rimodulazione del calendario delle scadenze future, sperando in una sua razionalizzazione.

Sulle Partite IVA potrebbe essere anticipata la riforma fiscale programmata per il 2021 eliminando il sistema di acconti e saldi per giungere a versamenti scaglionati sulla base di quanto incassato nel periodo (ovviamente restando la clausola “salvo conguaglio finale”, mi auguro).

In vero non si vede una vera azione volta a riformare dalle basi un sistema fiscale ingordo e prolisso come quello italiano ma almeno la buona volontà di modificare il folle calendario di scadenze e le modalità penalizzanti di versamento finora utilizzare bisogna dare atto che ci sia.

Dal lato del mondo del lavoro si prevede una proroga dell’impropriamente definito smart working, in realtà nella maggioranza dei casi si tratta di mero telelavoro, anche per i dipendenti privati ma, oggettivamente, questa previsione potrebbe essere superflua poiché il lavoro agile è la vera rivoluzione futura e il passaggio, laddove possibile, a queste forme di organizzazione potrebbe essere assai più rapido e spontaneo rispetto a quanto possano prevedere le forze politiche e di governo, una volta provata la sua efficacia dal lato della produttività della prestazione lavorativa.

Cosa resta ancora da trattare? Probabilmente nulla, anche questa manovra sarà caratterizzata dalla sua natura emergenziale e difficilmente conterrà dei provvedimenti strutturali, cosa che, probabilmente, sarà rinviata all’arrivo dei fondi promessi con il Recovery Fund il prossimo anno.

Facendo il bilancio di tutti i provvedimenti portati a terra dall’attuale maggioranza di governo è difficile trovare delle azioni volte alla crescita, sin dalla prima “finanziaria” a firma M5S-Lega all’ultima di M5S-PD l’attenzione è stata sempre messa ad azioni contingenti per sanare delle criticità esistenti (il disinnesco delle clausole di salvaguardia, ad esempio) o provvedimenti di bandiera che poco hanno fatto se non aumentare la spesa assistenziale (il Reddito di Cittadinanza, ad esempio, ma anche Quota 100 senza una riforma profonda dell’INPS e dei sistemi di finanziamento degli assegni previdenziali) e poco o nulla a livello di investimenti infrastrutturali o propedeutici alla crescita.

Così è stato per le ultime due leggi di bilancio e così è stato per i decreti emergenziali finora emanati. Oddio, sugli ultimi non era, credibilmente, possibile far diversamente, visto come e quanto l’epidemia ha colpito il Paese e la necessità era quella d salvaguardare il più possibile i redditi dei cittadini e l’ossatura industriale italiana, con le scarse disponibilità finanziarie esistenti, mentre si attuavano le misure contenitive e si contrasto alla malattia però ora, che il peggio pare sia passato, non c’è ancora un progetto o, almeno, un’idea di come agire per ricostruire l’Italia e far ripartire una macchina che, prima, aveva il motore ingolfato e, ora, questo si muove a stento.

È vero, per programmi del genere servono soldi, detto brutalmente, soldi che la gestione “allegra” della finanza pubblica negli ultimi decenni ha reso scarsi e, in più, il crollo del PIL porterà inevitabilmente anche a una contrazione delle entrate fiscali che non potranno essere integrate da nuovi balzelli poiché il limite di sopportazione della popolazione e delle aziende se non fosse già stato superato certamente sarebbe distante pochi millimetri e, quindi, ogni possibile azione in tal senso dovrà essere rimandata all’arrivo dei fondi europei, si spera, nella seconda metà del prossimo anno.

Adesso si apre il periodo della responsabilità, non più quello della propaganda e dell’antipolitica, ogni provvedimento dovrà essere indirizzato a far ripartire il Paese che, altrimenti, potrebbe liquefarsi in un futuro nemmeno troppo remoto.