Mes e Bce, l’ombrello europeo contro la crisi

In un articolo molto importante pubblicato su Il Foglio, Lorenzo Bini Smaghi ha illustrato puntualmente i contenuti delle intese su cui stanno lavorando (da remoto) i capi di Stato e di governo della Ue. Ma quel che più conta è che l’economista ha dimostrato non solo l’utilità di quelle proposte nell’interesse del nostro Paese, ma ha smontato anche, pezzo per pezzo, le critiche formulate in proposito sia dalle opposizioni che da settori della stessa maggioranza. Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità che ha riformato il c.d. Fondo salva-Stati) viene trattato da noi come se fosse l’olio di palma: un elemento che, per ragioni misteriose e dicerie sconsiderate, è stato bandito dai prodotti alimentari.

Si è arrivati al punto che questi settori politici snobbano persino il 36 miliardi del Mes sanitario come se si trattasse di pochi spiccioli, quando il suo ammontare è pari ad un terzo del finanziamento annuo del fondo sanitario nazionale. Non si accettano condizioni, neppure quelle – che a noi sembrano una sorta di minimo sindacale – per cui tali risorse devono essere destinate a sanare gli effetti diretti e indiretti dell’epidemia che sta devastando le strutture sanitarie in Europa.

Intorno al Mes circolano strane teorie. Nessuno nota che, con tanta acredine, se ne parla solo in Italia; che gli Stati che nella crisi precedente hanno chiesto ed ottenuto il prestito (con le relative condizioni) non hanno espresso oggi alcun tipo di contrarietà. Peraltro, se si vuole evitare che gli sgherri della austerità (sic!) si mettano a spulciare nei nostri conti pubblici, non occorre schierare le truppe alla frontiera, basta solo non chiedere (come hanno fatto, da molti anni i governi italiani) il prestito.

Non si capisce perché un Paese che accede alle risorse messe a disposizione dalla comunità, dovrebbe essere trattato diversamente dal rag. Mario Rossi quando si reca in banca per chiedere un mutuo. In ogni caso, la contropartita richiesta dal governo italiano – l’hanno chiamato eurobond – ha un carattere strumentale perché comunque l’adozione di una misura siffatta richiede del tempo e soprattutto occorre trovare una copertura credibile e sostenibile. Ciò nonostante il negoziato prosegue – sul Recovery Fund si è raggiunto un accordo di principio – anche perché Macron e Merkel (la quale presiederà l’Unione nel secondo semestre dell’anno e avrà maggiori possibilità di mediazione) vogliono evitare che l’Italia si metta in una condizione di incompatibilità con la permanenza nell’Unione e del club della moneta unica.

Come ha denunciato Bini Smaghi nell’articolo citato il disegno dei sovranisti nostrani non è più quello di uscire dalla comunità, ma di essere cacciati: “Una via alternativa per conseguire l’uscita dell’Italia dall’euro – ha scritto l’economista – è quella di rendere l’evento inevitabile, facendosi buttare fuori oppure eliminando qualsiasi meccanismo di difesa, come il Mes. Senza il Mes – prosegue – ossia senza la possibilità di usufruire di prestiti a bassi tassi d’interesse, condizionati a politiche di risanamento, non ci sarebbe modo di evitare l’uscita dell’Italia dall’euro’’.

Sarebbe folle rinunciare – tra l’altro – all’ombrello protettivo della Bce per un valore di 220 miliardi per il 2020. L’acquisto dei nostri titoli di Stato da parte dell’Istituto di Francoforte consente di contenere l’ammontare del servizio del debito che è destinato a crescere per via dell’incremento dello spread. In questi mesi in cui è in corso il suicidio dell’economia del mondo sviluppato, si è evocato spesso l’intervento del Piano Marshall che consentì ai paesi europei – sia vincitori che sconfitti nella Seconda guerra mondiale – di curare le proprie ferite e riconquistare in pochi anni la rinascita e la ripresa. E’ sempre rischioso fare indossare alla storia le stesse braghe di epoche lontane e diverse. Ma il pacchetto predisposto dalla Commissione europea è più consistente di quello dell’amministrazione americana nel dopoguerra. Teniamone conto. Certo, se le risorse per la fase 2 devono essere garantite dal bilancio poliennale dell’Unione, sarà bene che il Consiglio lo approvi, dopo ben due anni di discussioni ‘’alla ricerca del tempo perduto’’.