Meno male che Liliana Segre c’è

Alti momenti di vita repubblicana, uomini di statura media. Grandi donne, per fortuna. Liliana Segre non poteva gestire con più delicata maestria un passaggio di consegne per lei – facile immaginarlo – non esaltante. Non è questione di fiamme sul simbolo, ma di passato mai rinnegato, e chi ha l’età si ricorda bene cosa fosse l’Msi negli anni ’70. Non diciamo altro. Diciamo invece che se si concorre democraticamente nell’ambito del gioco costituzionale e si vince, allora si hanno tutti i diritti: alla presidenza del Consiglio come alla presidenza del Senato. Di più non si soggiunga: si scadrebbe nella tirannia dei pedanti e dei moraleggianti.

Ma, visti anche gli scherzi del calendario e delle ricorrenze, Liliana Segre il suo l’ha fatto: ha ricordato quel che accadde cent’anni fa, e così facendo ha rammentato ai vincitori di oggi che non è per i loro ideali di gioventù che hanno potuto vincere, ma esattamente per quelli contro i quali loro combattevano con in mano l’Arco e la Clava, lungo il Cammino del Cinabro. I trionfi della democrazia, poi, sono intessuti dei mediocri merletti della cronaca.

La prima giornata della nuova legislatura, pertanto, ha visto anche il primo atto di una difficile convivenza. Berlusconi pare già pronto a sfilarsi, Salvini attenderà. Si è ancora in tempo per rimediare, certo, ma anche per il primo governo a guida Forza Italia, nel 1994, si iniziò così. Durò, alla fine, dieci mesi solamente. Auguriamo a Giorgia Meloni miglior fortuna, ma non riusciamo a trattenere il pensiero. Molto probabile che la tabella di marcia verrà rispettata fino in fondo, ma questo fondo non è molto profondo. Il 19 consultazioni, il 21 l’incarico. Poi si vedrà.

Intanto Forza Italia, che rischia la sottorappresentazione nel governo, si terrà il più possibile le mani libere, in attesa magari di un segnale proveniente dal quartier generale del Ppe. Salvini tra non molto avrà il suo interesse a non tenere in piedi la baracca, esattamente come Bossi ai suoi tempi. I due, messi insieme, hanno una rappresentanza parlamentare che quasi equivale a quella di Fratelli d’Italia: quanto basta per far ondeggiare la barca quando vogliono. E se La Russa è stato eletto recuperando chissà dove una ventina di voti (tutti sospettano uno, uno solo, che smentisce), quei voti non basteranno laddove i due junior partner della coalizione di governo decidessero di fare causa comune.

Ci fosse un’opposizione salda e ferma, la partita potrebbe aprirsi presto. Ma il Pd è un partito senza corpo e senza anima, tanto che ora rischia di arrivare alla dissoluzione nella sua vuota corazza fatta di certezze inesistenti. Le rifondazioni, quelle vere, nascono su dibattiti programmatici e proposte politiche innovative. Qui mancano gli uni come mancano le altre, ragion per cui i prossimi mesi saranno duri. Buona fortuna anche a loro, ma anche qua non si riesce a trattenere un pensiero.

Rivolgendosi a tutti, il nuovo Presidente del Senato ha chiesto che anche il giorno della proclamazione del Regno d’Italia sia festa nazionale. Lo è stato una volta, nel 2011, e fece bene a tutti. Chissà che ne pensano i fautori dell’autonomia regionale diversificata: si annidano a destra come a sinistra.

Ma La Russa ha anche voluto riproporre un refrain di natura veltroniana, anche se suonato con un codice inverso. Ha parlato dei giovani degli anni del terrorismo come vittime di qualcosa di più grande di loro, e qui siamo d’accordo. Ma ha tralasciato di sottolineare che quella non fu una guerra civile, come la destra ama classificare anche la Guerra di Liberazione, bensì una azione antidemocratica e violenta, un attacco al cuore dello Stato e della democrazia sferrato all’unisono da destra e da sinistra. Tanto che, a scorrere le statistiche, si vede che il maggior numero di vittime furono servitori dello Stato: magistrati, poliziotti e carabinieri. E che tra i politici a restare sui marciapiedi di Roma o di Milano furono i cattolici. Democratici e cristiani: quelli che lottavano per mantenere le regole costituzionali che oggi, giustamente, lo portano allo scranno più alto del Senato. Meno male che Liliana c’é.