L'odio nella testa

Le immagini dei bambini che fuggono dal pullman incendiato a San Donato Milanese ci riportano alle, tante, troppe scene di panico cui abbiamo assistito durante questa, lunga, stagione di terrore. Saranno le indagini a stabilire quale movente abbia davvero ispirato Ousseynou Sy, il 47enne di origini senegalesi che ha appiccato il fuoco al mezzo su cui viaggiavano circa 50 studenti; se si tratti di finalità “terroristiche” – ipotesi concreta secondo il pm milanese Alberto Nobili – o se, come detto dallo stesso attentatore, si tratti del folle gesto di ribellione alle troppe morti di migranti nel Mediterraneo.

Ma non è questo il punto. Il punto, semmai, è lo switch di mentalità che porta, spesso, a ogni latitudine, l'uomo comune a considerare l'omicidio di massa, l'attacco indiscriminato, come possibile soluzione a problemi di natura politica o sociale. Lo abbiamo visto a Christchurch, dove uno squilibrato ha imbracciato un mitragliatore e si è filmato (con visuale modello videogame “sparatutto”) mentre falcidiava 49 persone riunite in moschea per la preghiera del venerdì; e lo abbiamo visto ad Utrecht, alla fermata del bus diventata teatro di un nuovo attacco. Tre fatti in una sola settimana, frutti avariati dei semi d'odio coltivati negli anni.  

A ragionarci viene da chiedersi se non sia questa la guerra di civiltà che sigle terroristiche come l'Isis e Al Qaeda hanno lanciato, in Occidente, e non solo. Un fatale gioco di attacchi e contrattacchi, di morte e vendetta. Un circolo vizioso nel quale la diversità finisce col tradursi in una minaccia da abbattere. E' una mentalità da guerra permanente che travolge i principi delle normale convivenza, trovando terreno fertile in una società già spoglia di valori. 

Una società che ha progressivamente perso la sensibilità per commuoversi di fronte al dramma della Siria, dello Yemen, della Libia, delle guerre civili in Africa e delle altre decine di scenari bellici di questo secolo martoriato. Un'indifferenza che genera a sua volta odio e desiderio di violenta rivalsa. 

Spetta a chi ci governa farci uscire dal vortice, mettendo da parte interessi, particolarismi e convenienze. Non bastano le condanne di circostanza, servono politiche di reale inclusione volte al superamente di quel processo di emarginazione, isolamento e auto-ghettizzazione prodromico alla radicalizzazione, non solo religiosa. Altrimenti non faremo altro che arrivare dopo. Altrimenti continueremo a contare altri morti.