L’inganno a Cinque Cerchi

giacovazzoGiochi Olimpici, XXXIII edizione, Roma 2024. Calcolo perfetto: tra prescrizione, indulti, patteggiamenti e sconti di pena vari, la banda di Mafia Capitale ha tutto il tempo di preparare il grande rientro e fare man bassa di appalti. E con le cooperative dei carcerati la macchina organizativa può partire già da adesso, nell’ora d’aria.

L’idea dei Giochi a Roma è perdente, oggi più che mai. Il mondo ci ride dietro. Ma l’ Olimpiade della Mazzetta non c’entra. Non centrano i gufi e neanche l’ottimismo della volontà renziana. Il malaffare si potrebbe sconfiggere, magari anche in 10 anni, se non fosse che non ci siamo riusciti negli ultimi 40.

Panem et circenses: per dominare la plebe, regalagli grano e giochi. Se lo sono inventato gli antichi romani. Oggi però, non può funzionare più. In un paese dove quasi 9 milioni di disoccupati e precari hanno il problema del lavoro, quindi del pranzo e della cena, non servono nuovi stadi: serve il pane, letteralmente. Se per un figlio non ci sono cibo, scuola, ospedali, prospettive di lavoro e tantomeno di pensione, l’ultima cosa che fa un buon padre è andargli a comprare la Playstation.

Le Olimpiadi, oltretutto, lasciano solo briciole, per poche bocche. Sono una immensa, colossale bugia sulla pelle dei plebei, che va ancora bene per gli stati del terzo mondo o per le dittature. Da noi no. Lo sviluppo che promettono non arriva. Gli ultimi Giochi in attivo sono quelli di Los Angeles 1984. Forse, perchè c’erano i soldi della Coca Cola. Gli altri ci hanno rimesso tutti, Atene docet. Il meccanismo a cinque cerchi oramai si ripete, uguale a sè stesso, sinonimo di cattiva politica: le casse degli stati si svuotano, le tasche delle cricche si riempiono. I nuovi posti di lavoro sono pochi (in prevalenza operai, manovalanza, hostess e stewart) e si spengono con la torcia olimpica.

Gli investimenti per i Giochi sono come quelli dei grandi eventi: una ripulita al centro città e all’aeroporto e l’immondizia sotto al tappeto, in periferia. Dove restano il vecchio degrado e i nuovi mostri di cemento firmati dai big dell’architettura, comunque incompiuti. Il G8 della Maddalena (poi spostato a L’Aquila) con la cricca degli amici dell’ex felpa della Protezione Civile, Bertolaso, ci ha fatto buttare circa mezzo miliardo di euro, solo per ora. Il centro congressi, il porto turistico, le strade e l’albergo, oltre che incompiuti, sono già decrepiti. E la bonifica promessa delle acque inquinate dalla base Nato, cinque anni dopo, non è neanche iniziata.

A Roma, su tutte le incompiute dei mondiali di nuoto 2009 svetta la vela d’acciaio di Calatrava, sopra il fantasma della città dello sport di Tor Vergata. Non lontano da Tor Sapienza, il sobborgo che oggi si rivolta contro il centro immigrati e il campo Rom. Guarda caso, proprio il business che ai nuovi re di Roma, Carminati e Buzzi, frutta “più della droga”. Se il primo partito diventa quello del non voto è anche per questa politica miope, troppo presa dalle abbuffate dei grandi eventi per vedere i piccoli insormontabili problemi della gente comune.

I fischi a D’Alema, a Bari nel corteo dello sciopero generale CGIL e Uil, non sono solo fischi a D’Alema e al PD che non ha difeso quel che resta dell’articolo 18. Sono fischi di rabbia per decenni di malgoverno e di corruzione bipartisan, senza distinzioni. Fischi da stadio. Olimpico, naturalmente.