Libia, la stabilità passa da Palermo

Cala il sipario sulla Conferenza di Palermo, evento tanto atteso per il nostro Paese, alla ricerca di un posto di rilievo nel processo di stabilizzazione della Libia, strategicamente decisiva per ricostruire una credibile sfera di influenza italiana nel Mediterraneo, dopo l’ultimo decennio contrassegnato da quella instabilità che ha influito molto negativamente sui nostri interessi nella regione. L’evento di Palermo è stato chiaramente pensato per bilanciare le iniziative portate avanti dalla Francia, da ormai molti anni ostinata nel porsi a più riprese come “antagonista” di Roma sia per quanto concerne la gestione della crisi migranti che per le ambizioni di “conquista” degli approvvigionamenti energetici libici, dove la battaglia tra Eni e Total sembra non essere mai doma. Molto si è discusso in merito all’effettiva utilità e, soprattutto, sulla riuscita dell’iniziativa. Tuttavia, il dibattito ha assunto un tono particolarmente politico, perdendone inevitabilmente in lucidità. In definitiva, si può sostenere che, per quanto concerne il discorso libico, l’Italia c’è.

L’incontro tenutosi nella suggestiva cornice di Villa Igiea è riuscito nell’intento di riunire le parti e di rilanciare l’immagine di Roma come promotrice di un effettivo processo di pace, nonostante la strada che porti ad una soluzione “all’italiana” sia effettivamente tutta in salita, anche per via delle assenze che non sono passate inosservate ai circuiti mediatici: Trump e Putin, incontratisi a Parigi proprio pochi giorni fa in occasione della commemorazione del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, hanno disertato l’evento. Ma mentre Mosca (sempre in buoni rapporti con il generale libico Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica) ha comunque ben pensato di inviare il numero due, Dmitrij Medvedev, nonché l’influente vice-Lavrov, Michail Bogdanov, dagli States non è arrivato neanche il Segretario di Stato Mike Pompeo ma soltanto una delegazione dal basso valore diplomatico. Proprio gli Stati Uniti hanno “investito” l’Italia del compito di gestire una congiunta cabina di regia per quanto riguarda la crisi libica, ma per il momento la linea “non interventista” che sta sempre più spiccatamente contraddistinguendo la politica estera Usa sembra prevalere anche per quanto riguarda la gestione di una matassa così difficile da sbrogliare come quella della Libia e della sua stabilizzazione.

Nonostante ciò, il Premier Giuseppe Conte porta a casa un risultato dal quale l’Italia può cominciare ad impostare una propria “road map”: l’incontro e la stretta di mano tra i rappresentanti delle due principali fazioni che fino a pochi mesi fa si sono scontrate in campo aperto (parliamo di Haftar e di Al-Serraj), nonché il definito “tramonto” dell’eventualità di portare la Libia alle libere elezioni già a dicembre, scenario fortemente promosso dalla Francia ma molto prematuro nonché palesemente rischioso, reso impossibile dalla forte instabilità che ha portato ai pesanti scontri di appena qualche mese fa nelle città costiere ancora contese. Al momento, la situazione sul campo, dal punto di vista militare rimane fortemente cristallizzata, ancorata al potere delle milizie locali che molto spesso impongono “condizioni” ai propri rappresentanti. Palermo potrebbe rappresentare la prima tappa per un percorso di avvicinamento alle future elezioni libiche attraverso il quale l’Italia potrebbe rilanciare il ruolo delle Nazioni Unite. Del resto, proprio l’inviato Onu per la Libia Hassam Salamè non ha esitato a definire l’iniziativa italiana “un successo”.

Al di là di questo, per dare l’idea delle difficoltà che attendono chiunque voglia recitare il ruolo di “broker” in questo difficile contesto, il vertice ha risentito dei “capricci” delle parti in causa: Haftar non ha formalmente preso parte all’evento di Palermo, ma ha ugualmente deciso di partire alla volta della Sicilia e a partecipare incontrando a margine i diversi ospiti intervenuti, probabilmente invogliato dalla presenza di Egitto e Russia, potenti sponsor del Generale di Tobruk. Proprio l’atteggiamento ambiguo di questi ha spinto la delegazione turca ad abbandonare polemicamente anzitempo i lavori. Al netto di tutte le difficoltà che attendono l’Italia lungo il percorso, a Villa Igiea il nostro Paese ha dimostrato di potersi incamminare lungo il recupero del terreno perso negli ultimi anni dal punto di vista politico e diplomatico. In barba ad ogni discorso europeista, infatti, Francia e Germania sembrano aver trovato una buona intesa anti-italiana in merito al futuro della Libia. Le assenze della Merkel e di Macron (comunque sostituito dal Ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian) non sono passate inosservate come, invece, lo è stata un’iniziativa portata avanti da Berlino e Parigi in maniera parallela a quella di Palermo: parliamo della visita congiunta dei Ministri della Difesa di entrambi i Paesi, Florence Parly ed Ursula von der Leyen, a Bamako per incontrare i rappresentanti del G5- Sahel, composto da Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Non bisogna, infatti, dimenticare che il flusso di migranti che parte dalle coste libiche passa proprio per l’Africa sub-sahariana. Con loro anche mezzi, armi, uomini e denaro. A riprova del buon lavoro di Roma vi è l’attività dei suoi principali antagonisti che, a quanto pare, non hanno perso tempo nell’attuare le dovute contromosse…