L’Europa, terra di sogni e di chimere

“Il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo; il nazionalismo quando viene per primo  l’odio per quelli  che non appartengono alla tua gente’’. E’ una considerazione appartenuta al Generale De Gaulle, una personalità che di patriottismo se ne intendeva al punto di darne più volte dimostrazioni che sono entrate nella storia. Facendo nostra quella definizione di nazionalismo (ed includendovi tutti gli altri “ismi’’ che avvelenano le fonti del vivere civile) è evidente constatare che di questa “passione triste’’ (sono parole di Emmanuel Macron) esistono diverse stagioni, come il pret à porter nella moda.

Ed in ognuna di esse se il nemico è sempre un partner comunitario, non cambia però la sua nazionalità, perché, alla fine, c’è sempre di mezzo la Germania di Angela Merkel. La leader tedesca si avvale, per compiere le sue malefatte di qualche paese “minore’’: questa volta, contro le legittime rivendicazioni dell’Italia (popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori e di trasmigratori) è stata messa in campo l’Olanda. Questa rappresentazione del dibattito in corso nell’Unione europea ci viene propinata, in tv (e in parecchi quotidiani, non parliamo poi dei social), dalle prime ore del mattino fino a notte fonda su quasi tutte le reti. C’è da dubitare che sia stato ripristinato il giro delle veline del Minculpop, come nel Ventennio.

Del resto, non ce ne siamo ancora resi conto, ma la quarantena a cui siamo sottoposti ci sta assuefacendo ad un regime dittatoriale che ci ha privato delle più elementari libertà, vietandoci le azioni che le persone compiono dalla nascita ed imponendoci comportamenti al limite dell’assurdo; senza accorgersi che il “grande ritorno in campo della scienza’’ si limita a contenere il diffondersi di un contagio sconosciuto con gli stessi metodi usati, ai tempi di Pericle, con la peste di Atene. Oggi – non si capisce bene perché – siamo ai ferri corti con l’Unione europea.

Ursula Von der Layen si spertica nelle scuse all’Italia e nelle dichiarazioni di solidarietà con gli italiani. Ma questa volta non ci sono solo belle parole, ma fatti concreti. Le istituzioni europee hanno disposto un piano di difesa dell’economia degli Stati membri di una dimensione tale che nessuno avrebbe mai immaginato. Carlo Cottarelli, in un articolo su La Stampa, ha voluto ricordare i capisaldi degli interventi predisposti: la sospensione a tempo indeterminato delle regole fiscali e di quelle riguardanti gli aiuti di Stato; 100 miliardi per finanziare lo “sure’’ ovvero lo strumento di erogazione di prestiti agevolati per sostenere i sistemi di protezione del lavoro (all’Italia dovrebbero spettare tra i 15 e i 20 miliardi); 200 miliardi sono stati messi a disposizione dalla Bei (che saranno ripartiti sulla base dei progetti presentati); 220 miliardi verranno dalla Bce per l’acquisto di titoli di stato italiani; la trasformazione del MES in “Salva Europa” dall’epidemia Covid-19, da usare subito per aumentare le capacità delle strutture sanitarie, ospedali e centri di ricerca.

Per l’Italia questa operazione vale circa 36 miliardi (che – prendiamo nota – è un terzo di quanto spendiamo in un anno per il SSN). Il governo però ha ritenuto di “impiccarsi’’ (copyright di Mario Monti) alla proposta degli eurobond e non si accontenta della mediazione intervenuta nell’Eurogruppo: quella di proporre al Consiglio UE l’istituzione di un Fondo per la ricostruzione dell’Europa “da finanziare anche con strumenti innovativi’’. Il quadro di garanzie definito è rassicurante e, soprattutto, è in grado di essere operativo con una rapidità che non sarebbe possibile attraverso l’istituzione degli eurobond, non solo per le difficoltà politiche, ma anche per quelle tecnico-giuridiche che l’operazione comporterebbe, prima di tutto perché l’Unione non ha un patrimonio proprio con cui garantire le emissioni.

Non c’è bisogno di fare il passo più lungo della gamba. Il “primum vivere’’ oggi significa mettere l’economia in terapia intensiva, assicurando la liquidità di cui hanno bisogno le famiglie e le imprese. E a questi livelli massicci di intervento non era mai arrivato neppure il Piano Marshall, la cui utilizzazione era vincolata non solo a precisi indirizzi sul piano economico, ma anche ad impegni su quello politico interno ed internazionale. E’ assurdo che il MES sia divenuto un acronimo impronunciabile proprio per quei partiti che costituivano la maggioranza del governo che definì l’accordo. Basti vedere il voto dei parlamentari italiani a Bruxelles. Ridicolo. La risoluzione chiedeva al Consiglio di varare gli agognati bond, ma c’era anche l’acronimo MES: vade retro! Le titubanze si manifestano, all’interno della maggioranza anche nei confronti dell’incondizionata erogazione del MES sanitario. Certo i 36 miliardi sono vincolati all’obiettivo del risanamento e il rafforzamento delle strutture sanitarie del Paese, non possono essere usati altrimenti. Non potremmo gestire tali risorse come i due miliardi, a suo tempo, erogati dall’Unione per le zone colpite dal terremoto. Quelle popolazioni sono ancora lì che aspettano.