L’epopea dell’Iva e la necessaria riforma del fisco

Ha ragione Ignazio Visco, le riforme del fisco non si fanno un pezzo per volta, ma secondo un’impostazione organica e con una visione unitaria. E quando Dio vorrà che la riforma più invocata esca dalle nebbie del porto per veleggiare in mare aperto, uno dei principi del nuovo ordinamento fiscale non potrà non tener conto dell’esigenza di un riequilibrio tra la tassazione del reddito e quella sui consumi. Nella disgrazia della pandemia il nostro Paese, grazie alla sospensione dei vincoli di bilancio, ha potuto liberarsi di oneri (contenuti nelle clausole) che avrebbero condizionato per anni la politica di bilancio. E’ vero che il governo Conte 2 – nato e voluto per sterilizzare la clausola di salvaguardia di 23 miliardi già in vigore dal 1° gennaio di quest’anno – aveva concentrato la manovra di bilancio su questo obiettivo, ma non aveva risolto il problema, perché restava, nei prossimi due anni, un conto di 48 miliardi da ‘’sterilizzare’’.

In sostanza, gli impegni contenuti nelle clausole di salvaguardia passate dai governi precedenti a quelli subentranti sarebbero divenute l’aspetto centrale delle prossime manovre. Era proprio indispensabile quell’operazione che ha ridotto all’osso le disponibilità per altri interventi? Cosa fatta capo ha; soprattutto si tratta di un dibattito ormai confinato in una precedente era geologica della politica, prima della crisi sanitaria e dei suoi effetti. Ricordiamo però che il titolare del Mef, Giovanni Tria, in una intervista, aveva fornito delle considerazioni solide in proposito: una volta “disinnescate le clausole di salvaguardia, sarebbe stata mia intenzione proporre una qualche rimodulazione dell’IVA, specie per le aliquote agevolate, che avrebbe potuto dare un gettito di circa 8 miliardi da impiegare nella riduzione delle tasse sulle persone’’.

In questo modo – secondo l’ex ministro dell’Economia – la finanza pubblica, contenendo il deficit intorno al 2%, avrebbe tranquillizzato i mercati e avrebbe potuto dare una spinta alla crescita. Non dimentichiamo, infatti, che un moderato aumento dell’IVA – aveva proseguito l’ex ministro – oltre ad essere raccomandato dalla UE, non avrebbe effetti inflazionistici, mentre la riduzione delle tasse sul lavoro avrebbe potuto davvero dare nuovo slancio ai consumi’’. Non è poi un mistero che anche Pier Carlo Padoan, il predecessore di Tria sulla poltrona di Quintino Sella, aveva in varie occasioni raccomandato di tassare di più i consumi e meno i redditi. Anche il ministro “politico’’ Roberto Gualtieri, tuttavia, non era riuscito a superare i veti “ad orecchio’’ che venivano dai partiti, i cui esponenti spesso fanno promesse ad una platea ben disposta verso di loro senza pensare alle conseguenze e come se tutto fosse possibile.

Ma forse è opportuno tracciare un ritratto dell’IVA che è senz’altro l’imposta più importante non solo tra quelle indirette, ma dell’intero regime fiscale (anche se subisce un’evasione pari al 26% del dovuto). Ci avvaliamo dei dati forniti dall’autorevole Centro Studi “Itinerari previdenziali’’ presieduto da Alberto Brambillla. L’IVA è applicata alle cessioni di beni e servizi che colpisce solo il valore aggiunto in ogni fase del processo produttivo e distributivo. Le aliquote attualmente sono tre: ordinaria del 22%, oppure ridotta del 4% e del 10%.

L’imposta, con 140 miliardi di gettito si pone subito dopo l’IRPEF quale contributo alle entrate del bilancio statale. «La categoria dei beni tassati con aliquota al 22% è quella che fornisce il maggior gettito all’Erario per questa tipologia di imposta: circa 74 miliardi di euro», ha calcolato Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio. All’interno di questa categoria ci sono prodotti e servizi molto eterogenei tra loro che vanno da caffé, bevande gasate, vini e alcolici e sigarette, all’abbigliamento e calzature, fino a mobili, elettrodomestici, automobili, carburanti e parrucchieri. Un rapido sguardo alla distribuzione territoriale svela un Paese fortemente squilibrato, con il Nord il cui volume d’affari è pari al 62,92% del totale contro i modesti 24,82% del Centro e il 12,26% del Sud, mentre la distribuzione del gettito vede il Nord al 61,60%, il Sud al 10,47% e il Centro al 27,57%, dove il Lazio è trascinato dalle operazioni in split payment verso la Pubblica Amministrazione non titolare di partita IVA. Per quanto riguarda il numero dei contribuenti, al Nord sono il 48,65%, al Centro 21,13% e al Sud 30,12%.