Una legge elettorale per il buon funzionamento delle istituzioni

Secondo un’espressione cara ad Hans Kelsen, uno dei più grandi giuristi del Novecento, il voto rappresenta il diritto politico fondamentale, in quanto strumento che consente al cittadino di partecipare alle decisioni collettive. Alla sua titolarità si lega il principio di universalità del suffragio. Esso ha trovato consacrazione in tutti i testi costituzionali elaborati dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Si è portato così a compimento un lungo e complesso processo storico, che ha interessato e ampliato in senso compiutamente democratico lo stesso principio rappresentativo.

In Italia fu necessario attendere il 1946 per l’estensione del diritto di voto anche alle donne e l’affermazione del suffragio nella sua pienezza. La garanzia del diritto di voto costituisce la principale estrinsecazione della sovranità popolare, sancita nel precetto contenuto nell’art. 1, co. 2°, della Costituzione, secondo cui la sovranità che appartiene al popolo si esercita, appunto, nelle “forme” e nei “limiti” fissati nelle stesse previsioni costituzionali. Il carattere democratico della Repubblica e l’attribuzione della sovranità al popolo comprendono alcuni presupposti fondamentali: il riconoscimento di diritti e libertà fondamentali, i diritti delle minoranze, la soggezione dei giudici soltanto alla legge, il principio della temporaneità delle cariche elettive.

All’interno di tale cornice costituzionale si collocano le leggi elettorali, meccanismi giuridici che servono a trasformare i voti in seggi. Il verbo latino eligere indica il sistema attraverso il quale i cittadini, con il voto, scelgono periodicamente i loro rappresentanti negli enti locali, nelle Regioni, nel Parlamento nazionale e in quello europeo. Le elezioni costituiscono, dunque, il fulcro di un sistema democratico. Anche davanti agli sviluppi incessanti della tecnologia, il sistema di democrazia rappresentativa è l’unico applicabile alle forme di stato contemporanee. Il principio democratico impone, inoltre, che tutte le decisioni dello Stato vengono prese secondo la regola di maggioranza. La scelta compiuta dal corpo elettorale assume un ruolo centrale al fine della trasformazione della volontà elettorale in leggi che definiscono interessi e obiettivi che un Paese si da in una determinata fase storica.

La selezione dei rappresentanti è un momento fondamentale perché rispecchia l’orientamento della maggioranza dei cittadini rispetto alla individuazione di aspettative e bisogni come priorità collettive. In altri termini, le elezioni rispondono ad una duplice esigenza: la selezione dell’indirizzo programmatico e l’investitura del personale politico. Ecco perché rimane di grande attualità l’intuizione di Don Luigi Sturzo, che in un suo saggio del 1951, affermava che la legge elettorale “dopo la Costituzione è la più importante nell’ordine costituzionale”; essa plasma il sistema partitico e incide sul sistema rappresentativo. I sistemi elettorali costituiscono un aspetto essenziale dell’intera architettura ordinamentale, anche nel caso in cui non siano formalmente inclusi nei testi costituzionali. Si tratta di fissare “le regole del gioco” con la ricerca della massima condivisione da parte di tutte le forze politiche presenti in Parlamento.

Proprio in virtù della sua connotazione costituzionale il sistema di elezione dovrebbe meno ubbidire a sollecitazioni contingenti e abbracciare due istanze, entrambe meritevoli di garanzia: rappresentatività e efficienza decisionale. L’opzione tra metodo proporzionale e sistema maggioritario comporta conseguenze di rilievo sul funzionamento della forma di governo e sulla competizione tra partiti politici. Il sistema proporzionale garantisce a tutti i partiti che si presentano alle elezioni un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti. Con i sistemi maggioritari il seggio viene attribuito al candidato che abbia ottenuto la maggioranza dei voti, l’intento è quello di eleggere un Parlamento ma anche di scegliere simultaneamente (pur se in modo implicito) un governo.

È importante, tuttavia, precisare che difficilmente i sistemi di voto si presentano nella forma “pura”, essi sovente si mostrano come metodi ibridi, con combinazioni e varianti di proporzionale e maggioritario insieme. L’adozione del sistema di voto proporzionale non ha capacità di dissuasione rispetto al proliferare di piccole formazioni politiche e se il gruppo sociale esprime una tendenza alla frammentazione essa finirà per riflettersi nella composizione delle Camere. La proposta di legge elettorale, c.d. Germanicum, di cui si discute in questi giorni, prevede una soglia di sbarramento al 5% – vale a dire di un meccanismo che richiede un livello minimo di voti necessari per accedere alla ripartizione dei seggi – finalizzata proprio a limitare l’eccessiva frammentazione partitica. Diversamente i sistemi maggioritari tendono ad incoraggiare l’aggregazione, con una riduzione del numero dei partiti rappresentati.

Così, se i meccanismi diretti ad agevolare la formazione di una maggioranza parlamentare allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale sono compatibili, in linea di principio, con i principi costituzionali; nondimeno un effetto fortemente distorsivo del premio di maggioranza, privo di una ragionevole soglia minima, determina una eccessiva compressione della funzione rappresentativa del Parlamento. Il principio di eguaglianza del voto esige in ogni caso che ciascun elettore contribuisca con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi. Secondo la Corte costituzionale è ragionevole il premio di maggioranza per la lista che raggiunge il 40% dei consensi; infatti in questo caso il premio punta a bilanciare vicendevolmente il principio costituzionale della necessaria rappresentatività con gli obiettivi, pure di rilievo costituzionale, della stabilità del Governo e della rapidità della sua azione.

Negli ordinamenti, come quello italiano, in cui vige un sistema bicamerale – anche nella prospettiva del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, previsto per il prossimo 20 settembre, – è consigliabile l’adozione di sistemi elettorali simili per le due Camere, allo scopo di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare e la formazione di maggioranze omogenee. In tale prospettiva, anche al fine di promuovere la partecipazione dei giovani alla vita politica del Paese e ridurre il fenomeno dell’astensionismo, sembra condivisibile l’idea di parificare l’età per l’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo e il conseguente abbassamento dell’età per l’eleggibilità al Senato, portando il limite per votare da 25 a 18 anni e per essere eletti da 40 a 25 anni.

L’esperienza repubblicana – caratterizzata dal susseguirsi di svariate formule elettorali non sempre coerenti rispetto al fine del buon funzionamento delle istituzioni – induce a riflettere circa l’opportunità di mettere in pratica la nota metafora del filosofo statunitense John Rawls, secondo cui le scelte distributive (o redistributive) dovrebbero essere assunte coperti da un “velo di ignoranza”. Tale teoria, che si distingue anche per il suo elevato profilo etico, presuppone l’assenza di ogni interesse individuale o di un gruppo per giungere alla costruzione di una società giusta. Infatti, l’assunzione di scelte avulse dalla difesa di vantaggi particolari, con buone probabilità, porterebbe gli attori politici a preferire il metodo di elezione nel rispetto del principio di imparzialità e del servizio per il bene comune.