Le somme del voto sardo

Ma sì andiamo avanti così. Con la confusione del momento per l’ennesimo errore dei sondaggisti, (ma qualcuno prima o poi gli presenterà il conto?) dove ciascuno può dire quel che vuole, tanto poi tutto passa. Chi ha vinto e stravinto e chi ha perso non ha perso così tanto. Chissà domani cosa ci ricorderemo di questa ennesima ubriacatura televisiva. Dunque hanno perso solo i sondaggi che, per dirla con Funari, “hanno toppato clamorosamente”. Però da questa ennesima sbornia catodica riemerge, catartico, un ricordo: le bandierine di Emilio Fede. Già, l’eroe triste e sconfitto di quella epica giornata di elezioni amministrative in cui le famigerate bandierine rosse e blu apparivano e scomparivano. Perché nessuno lo fa più? Aiutano. Nel 2014 le regioni governate dal centrosinistra erano 14,3 quelle in mano al centrodestra. Oggi, dopo il voto in Sardegna, è di 10 a 9.

In attesa del risultato della Basilicata dove si vota il 24 marzo e, a seguire in Piemonte, Calabria e Emilia Romagna. Ridateci le bandierine, per favore. Soprattutto a beneficio degli esponenti del Movimento 5 Stelle, costretti a ribadire il concetto della “tregua armata” tra M5S-Lega. La geografia è cambiata e con essa è destinata a essere modificato pure l’assetto al vertice. Impensabile pensare che il voto non produca un effetto domino. D’accordo, la sconfitta dei grillini è un colpo previsto, nelle elezioni amministrative i pentastellati hanno perso il loro tocco magico, ammesso che lo abbiano mai avuto. Ma questo non esime il Movimento dal guardarsi allo specchio. Il malumore della base ormai viene trattenuto a fatica, e laddove Luigi Di Maio tenta di rilanciare la sua leadership accelerando su alcune svolte epocali che vuole imprimere al Movimento, si capisce che è solo un modo per uscire dall’angolo. Sul blog, nel giro di pochi giorni, gli iscritti voteranno l’istituzione dei referenti locali fulcro della nuova organizzazione, l'apertura a liste civiche e la deroga ai due mandati per i consiglieri comunali. Acqua fresca.

 E se il flop facilita la riforma del Movimento questo non può  essere certo il mantra per legittimare l’ottimismo, che i vertici pentastellati provano a vendere. Anche dalle parti della Lega, però, il voto della Sardegna induce alla riflessione. E, forse anche per questo, se per Di Maio è quasi naturale blindare il governo, Matteo Salvini sceglie toni bassi, assicura al pari del leader M5S che gli equilibri del governo non cambieranno e confida ai suoi come la strada sia quella giusta. Con un’appendice, tuttavia, che serpeggia all'indomani del voto sardo: senza l'apporto dell'intera coalizione di centrodestra la Lega, al momento, potrebbe non avere l’autonomia della vittoria. E forse è pure questa riflessione a frenare eventuali fughe in avanti leghiste.

Il voto in Basilicata – sebbene il M5S abbia cominciato a puntarci con decisione – potrebbe sorridere una volta in più al centrodestra e alla Lega, prima della sfida madre delle Europee. Una sfida per la quale, nel M5S, e' scattato il piano di emergenza. Conservare il 25% che, secondo i sondaggi, i Cinque Stelle rastrellano in tutto il Paese è al momento l’obiettivo principale – e massimo – che i vertici sembrano darsi in vista del voto del 26 maggio. Anche perché la definizione del voto sardo non ha sfumature: anche se era nell’aria, “è stata una debacle”. E il tema che emerge è un cambio della comunicazione della linea movimentista. La sindrome di schiacciamento filo-leghista vede concordare un numero via via maggiore di parlamentari e l'esigenza, anche dalle parti dei vertici, è ora recuperare i toni sobri, moderati, che permisero a Di Maio il salto oltre il 30% alle Politiche. Il tempo stringe e, se non ci sarà un cambio di passo, nel mirino potrebbe finire anche quella stessa leadership di Di Maio al momento contestata da una ristrettissima maggioranza. Che presto potrebbe diventare maggioranza. Soprattutto se le prossime bandierine saranno tema di sventura per i 5 stelle. Un fatto, però, al netto di tutto è certo. Se nel governo è tregua armata, nel Paese inizia a serpeggiare la tensione, figlia legittima  dell’indecisione.