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Le donne: il popolo più perseguitato sulla Terra

credito: SAVERIO DE GIGLIO

L’8 Marzo, anche quest’anno, è arrivato. Le donne, come sempre, da anni, ed erano gli anni 70 quando io ricordo di averlo fatto, per la prima volta, scendono in piazza, urlano, protestano, gridano slogan come “non una di meno”. Sfilano agitando bandiere e striscioni, per ricordare al mondo libero dai “burka”, quel che avvenne l’8 Marzo del 1908, a New York, nella fabbrica Cottons, dove morirono bruciate vive 123 donne, per lo più ebree o immigrate, e in nome delle quali rivendicare, come ancora e già dal 1907, il diritto al voto, al lavoro, alla libertà. Cosa ci resta, ora, se non aspettare il prossimo 8 Marzo, per contare le vittime di femminicidio? Perchè nel 2024 sono state 109. Di questo costante, reale “genocidio” che vede, anzitutto, le donne essere, ovunque, il popolo più sistematicamente perseguitato della Terra insieme ai loro figli, vittime fisicamente di abusi e percosse e vittime, costantemente di violenza assistita, dobbiamo prendere atto.

Si tratta di una violenza che alberga in quelle famiglie disfunzionali e, perfino, criminali a cui, assai spesso, viene data attenzione, contenimento, supporto solo dopo eventi tragici e disumani poiché i segnali allarmanti di quel che avviene tra le mura domestiche non vengono colti. Oppure non possono e/o non si è intenzionati a prenderne atto, per paura, inadeguatezza, sfiducia nelle autorità, malinteso rispetto della privacy. E, ancora, perché le vittime stesse non riescono o non osano rivelare quel che accade in casa nel timore di non essere credute, di essere giudicate e ricattate.

E si vergognano di raccontare quali incontri, percorsi umani, familiari, lavorativi hanno, alla fine, prodotto le tragedie che stanno vivendo e che, assai spesso, se hanno dei figli, coinvolgono anche i minori. Temono gli effetti familiari e sociali del poter denunciare, smascherando le violenze e i crimini che hanno sopportato, magari per anni, senza reagire. Temono di potersi sentir dire “Perchè hai aspettato tanto? Perchè non hai reagito prima? Perchè hai taciuto se tutto questo coinvolgeva anche i tuoi figli?” E’ un senso di colpa e di inferiorità, una disistima, una vergogna, una paura d’essere accusate e ricattate che accompagna tante donne. Ma anche l’illusoria speranza di far cambiare, di guarire, di superare il maschilistico, patriarcale potere maligno dell’uomo che le opprime, con un salvifico, devoto, disinteressato amore. Un’illusione da martiri, da “pseudosante”, da irresponsabili eroine che, impotenti e spaventate come sono, si rendono, però, complici inconsapevoli della fragilità e delle peggiori forme della violenza maschile.

Analizzando la “storytelling” della vita di queste donne, assai più che spesso, si scopre che la loro infanzia è stata segnata da analoghe violenze, da conflitti genitoriali, da ricatti e abusi consumati nelle loro famiglie di origine. Per risarcirsi dei quali, la sfida è quella di tentare a fare meglio di quel che hanno subito e che, al contrario, continuano a subire e a far subire ai figli che mettono al mondo. In tal modo, queste donne sono nemiche di se stesse e, a volte, perfino, nemiche delle donne che si battono per cambiare radicalmente le cose. Al punto di diventare, se non si ribellano, se non fanno valere diritti e possibilità anche conquistate per loro da tante altre donne a costo di sofferenze, ribellioni, persecuzioni e sacrificio, perfino, della propria vita, dalle donne amiche delle donne.

Al pari degli uomini che odiano le donne per il drammatico esempio ricevuto dai loro padri, sostenitori ad oltranza di culture maschiliste e patriarcali e dalle loro madri sottomesse ma decise a fare, proprio di quei figli maschi, “il braccio armato della loro secolare, guerresca, vendetta”, le donne nemiche delle donne sono una spina nel cuore dell’Umanità. E’ a loro per prime che bisogna chiedere di cambiare poiché alle donne è affidato il compito d’essere il laboratorio neurobiochimico che dà vita alle forme della vita e che popola il mondo di esseri umani. Al maschile e al femminile. Non una di meno deve capirlo, agirlo, farlo valere!

L’articolo della professoressa Parsi è stato pubblicato su Il Giorno

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