Lavoro: la svolta che non c’è

Gioco perdente, non si cambia! Sembra questa la volontà anche del governo Gentiloni, riguardo la fallimentare politica delle riduzioni contributive per incentivare le assunzioni. È accertato: negli ultimi anni non si è avuto nessun miglioramento occupazionale, come conseguenza alla incentivazione fiscale o contributiva per le assunzioni. Non poteva che andare così, datosi che ogni azienda di questo mondo, assume lavoratori solo se ottiene dal mercato nuove e maggiori commesse, a ragione di costi e qualità di prodotto soddisfacenti: allora sì che assumono. Al contrario, se le vendite vanno male, licenziano.

È venuto il tempo di porsi delle domande di fondo: a che serve tanto darsi da fare, se poi il risultato è sempre sullo zero virgola qualcosa? Eppure queste operazioni costano ingenti capitali pubblici, che potrebbero essere meglio impiegati per produrre posti di lavoro. Il risultato è sempre lo stesso: una partita di giro, di lavoratori passati da un contratto all’altro; spostati dove si possono ottenere minori costi. Ora il governo, da una parte non può confermare la entità somme del passato, datosi che il debito pubblico in questi anni, anziché diminuire è cresciuto sensibilmente; dall’altra non se la sente di sconfessare la impostazione di fondo, su cui ha tanto scommesso per anni la maggioranza che lo sostiene. Cosicché il consigliere economico della Presidenza del Consiglio fa sapere in una conferenza stampa dell’intenzione del Governo di incentivare ancora – con nuovo provvedimento da inserire nella manovra d’autunno – le assunzioni dei giovani attraverso i soliti sgravi contributivi previdenziali. La platea dei giovani riguarderebbe soggetti che non superano i 29 anni: il vantaggio, il dimezzamento della contribuzione, per due o tre anni.

Se le cose stanno così, si capisce subito che ci troviamo di fronte a una manovra non molto differente da quelle passate: incentivi temporalmente corti incapaci garantire programmazione alle imprese; platea dei beneficiari ancora più ristretta. Ma bisogna considerare che di normative già esistenti e molto convenienti per le imprese si può già fruire attraverso l’apprendistato, che costa meno della nuova proposta governativa. Infatti le contribuzioni previdenziali normali sono al 33%, con il calcolo sulla retribuzione mensile lorda:2/3 a carico del datore di lavoro, 1/3 di spettanza del lavoratore. Se l’incentivo, come propone il governo, riduce la metà del pagamento il 33%, tutto ciò risulterà vano per il solo fatto che per gli apprendisti – che possono essere tali fino a 29 anni – la contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, è solo al 10%.

Il governo va in cerca dei tanto desiderati posti di lavoro in più, per colmare la voragine dei 400.000 occupati persi nel decennio della crisi; e questo è giustissimo. Sbaglia a cercarli con politiche sbagliate: darà per l’ennesima volta la illusione di trovarli. I nuovi occupati si trovano regolando il contesto entro cui l’impresa agisce, e purtroppo le imprese continuano ad operare in un ambiente pressoché ostile. D’altronde questa è la ragione principale che ci colloca tra gli ultimi Paesi nella graduatoria, incapaci di recuperare il terreno perso nella crisi. Tant’è che l’inaspettata crescita del Pil non è il risultato di una strategia governativa, ma deriva dall’aumento della domanda dei mercati internazionali che ha favorito il Made in Italy. Così come la occasionale crescita del turismo in Italia causata dalla paura dei turisti di recarsi in zone del globo ritenute meno sicure. Ogni tanto, dopo tanti guai, qualche fortuna ci capita. Ma quanti problemi in più avremo se governanti e classe dirigente dovessero continuare a fuggire dalle proprie responsabilità?