L’atroce lezione della Seconda guerra mondiale

Nel 1989, quando cadeva il cinquantesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale, Giovanni Paolo II scrisse: “Cinquant’anni dopo, abbiamo il dovere di ricordarci davanti a Dio di quei fatti drammatici, per onorare i morti e per compiangere tutti quelli che questo dilagare di crudeltà ha ferito nel cuore e nel corpo”, anche se – aggiungeva – “perdonando le offese”. Questo Papa ha vissuto personalmente la tragedia della Seconda guerra mondiale proprio là dove questa è cominciata e cioè in Polonia, invasa dalle truppe tedesche il 1 settembre 1939. Ma se è tornato tante volte sulla memoria di questo conflitto, non è stato solo per motivi biografici. Per Giovanni Paolo II la Seconda guerra mondiale ha rappresentato una svolta per l’umanità intera e in particolare per l’Europa. Lo si è compreso sempre meglio, ha poi scritto nel 1995, cinquantesimo anniversario della fine del conflitto, grazie all’acquisizione “in questi cinque decenni […] di una migliore conoscenza delle sofferenze da essa causate”. “La Chiesa si pone in ascolto soprattutto del grido di tutte le vittime” e solo così è possibile percepire l’enormità della “mobilitazione inaudita dell’odio” che ha provocato questa immane tragedia.

“Decine di milioni furono gli uomini e le donne uccisi […] Mai le popolazioni civili, in particolare donne e bambini, hanno pagato in un conflitto un prezzo così alto di morti”. Giovanni Paolo II ricordò anzitutto i milioni di ebrei, le centinaia di migliaia di zingari e di altri esseri umani, colpevoli solo di appartenere a popoli diversi, che trovarono la morte in “infernali campi di sterminio”. Auschwitz, “simbolo drammaticamente eloquente delle conseguenze del totalitarismo”, gli appariva il “Golgota del mondo contemporaneo” e sostava idealmente anzitutto «davanti alla lapide con l’iscrizione in lingua ebraica», per ricordare il popolo «i cui figli e figlie erano destinati allo sterminio totale».

Tra le tantissime vittime della Seconda guerra mondiale e degli innumerevoli episodi di crudeltà che l’hanno segnata, quelle della Shoah hanno occupato e continuano ad occupare il primo posto. Giovanni Paolo II affermò che «non è lecito a nessuno passare oltre con indifferenza» e sottolineò il dovere di una memoria sempre viva dei milioni di ebrei sterminati senza colpa. Anche perché l’antisemitismo non è solo un ricordo del passato ma anche una realtà del presente.

Ricordare le vittime non significa solo commemorarle: significa anche decidere il nostro futuro. Lo affermava con grande lucidità e fermezza Giovanni Paolo II, sottolineando lo scandalo delle guerre in corso cinquant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. É uno scandalo che prosegue. La memoria dei milioni di vittime uccise durante quella guerra è una lezione terribile che rende inaccettabili tutte le guerre successive e in particolare quelle in corso oggi sotto i nostri occhi. Lo ha sottolineato anche Papa Francesco durante la sua visita in Giappone, denunciando non solo l’immoralità della guerra ma anche quella della fabbricazione delle armi, che costituiscono in se stesse una pericolosa tentazione e una grave minaccia, non giustificabile in base all’ambiguo principio di deterrenza.

Il ricordo delle vittime della Seconda guerra mondiale si proietta sul nostro futuro anche per quanto riguarda l’Europa. “Alcuni illuminati statisti dell’Europa occidentale – ricordava Giovanni Paolo II – vollero, partendo proprio dalla meditazione sui disastri causati dal secondo conflitto mondiale, creare un vincolo comunitario tra i loro Paesi”. L’esperienza di quel tragico conflitto “li indusse a ritenere che gli interessi di una nazione non potevano essere convenientemente perseguiti se non nel contesto della solidale interdipendenza con gli altri popoli”. Ricevendo il premio Carlo Magno, Papa Francesco ha a sua volta definito l’Unione europea “una novità senza precedenti nella storia”, sorta sorprendentemente ma significativamente “dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi”. E ha aggiunto: “Proprio ora, in questo nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il secondo conflitto mondiale […] I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri”.

Agostino Giovagnoli
Storico e Professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore