L'antidoto alla guerra

Almeno 70 leader mondiali si sono recati a Parigi per commemorare la conclusione della prima guerra mondiale, degli accadimenti drammatici che coinvolsero l’Europa, gli Stati Uniti d’America e le colonie delle potenze belligeranti.

In quel conflitto, persero la vita 17 milioni di persone fra militari e civili, oltre 20 milioni furono i feriti. Mai una guerra provocò tanti lutti. Ma era solo l'inizio: appena 20 anni dopo ne scoppiò un'altra, a causa delle sanzioni insostenibili che i vincitori imposero ai vinti e del conseguente clima di odio popolare, ben sfruttato dai nazisti nei loro propositi di revanscismo. Quindi da una rovinosa e inedita esperienza bellica, si giunse ad una seconda ancora più devastante, che coinvolse pressoché tutti i continenti della terra, e generò altri milioni di morti. Sommando vittime e feriti dei due conflitti si ottiene la spaventosa cifra di 150 milioni: un'ecatombe infernale che agli occhi di chi, come noi, non ha mai assistito o partecipato a una guerra, può sembrare surreale. 

L’Europa, peraltro, oltre ad avere pagato un prezzo altissimo di vite umane e di rovine materiali e morali, in virtù di quegli eventi, ha dovuto cedere agli Usa e ai Paesi dell'estremo oriente lo scettro del potere politico ed economico mondiale. Insomma, quegli accadimenti, hanno ridotto il Vecchio Continente alla condizione dell’Italia del cinquecento: ricca, evoluta, ma politicamente debolissima: incapace di regolare la vita economica e politica al proprio interno, impossibilitata ad influire negli scacchieri regionali più vicini, estranea ai giochi di potere.

Se un senso dovranno avere l’incontro di Parigi e gli altri focalizzati sull'argomento è certamente quello di ripudiare la guerra e di rifuggire la retorica della vittoria e il nazionalismo. Ma anche analizzare le ragioni più profonde che hanno mosso quei conflitti: quelle economiche; quelle della inesistenza di ambiti di organizzazioni statali adeguate alla modernità; la questione di masse popolari alla ricerca di benessere e di protagonismo. Queste spinte presenti nel novecento, non sono state comprese dalle elìte liberali dell’epoca, e sono state facilmente strumentalizzate dalle ideologie autoritarie comuniste e nazifasciste, che hanno soggiogato tristemente molti popoli: due regimi, che si sono alimentati a vicenda nella contrapposizione.

L’unico antidoto che apra orizzonti nuovi è e resta la costruzione definitiva e completa dell’Europa Federale. Il vecchio continente dovrà mirare presto ad un governo politico eletto dai cittadini, capace di dare prospettive ai propri popoli. Il continente europeo in definitiva deve diventare un nuovo pilastro di equilibrio per la stabilità economica e politica Afro-Europea, e collocarsi nel crocevia di quello orientale ed occidentale. A ben vedere, le odierne convulsioni presenti nei vari Paesi europei, sono il sintomo di un malessere proveniente dallo scadimento della propria identità e della paura verso tutto ciò che si sviluppa nel mondo che non li vede partecipi. Allora, una vera Unione Europea, è esigenza non rinviabile del nostro sviluppo, una opportunità per la stabilità mondiale, per stroncare i populismi che prosperano, proprio perché il cammino della Storia è troppo intralciato da mancate risposte all’altezza dei grandi cambiamenti avvenuti.

L’attuale Ue, seppur insufficiente e precaria, comunque ha avuto il merito di evitare nuovi scontri. Ma dovrà presto evolversi, così da offrire a lavoratori ed imprese un modello incardinato nell'economia sociale di mercato, presupposto fondamentale per dare forza ad una nuova e moderna democrazia. Dunque il benessere economico e sociale ed il rinnovamento della cultura sociale Europea passa per gli Stati Uniti d’Europa; questa meta, serve a offrire come nel passato, un riferimento importante per l’evoluzione morale e spirituale del mondo, in contrapposizione a possibili nuovi demoni pronti a distruggere l’umanità.