L’alternativa per morire

Il progresso scientifico ha portato a grandi passi nella medicina e, parallelamente, ha permesso di percorrere strade nuove attraverso la applicazione di cure fondate su principi completamente diversi da quelli consolidati. E così, a fronte di quella classica, definita medicina allopatica, si sono fatte strada le cure attraverso medicina omeopatica o ayurvedica. L’utilizzo di quest’ultima, fondata su un patrimonio culturale di origine indiana, è stata da poco esaminata dalla Cassazione.

Il supremo organo di giustizia ha definito questa pratica medica come di “trattamenti con medicamenti di non noto effetto curativo e non comprovata efficacia”; ed ha ricordato, in relazione alla valutazione dei doveri del medico imputato nel caso esaminato, che in un rapporto terapeutico soprattutto ove si devono praticare terapie a lungo termine, quindi in un’attività continuativa, questi assume una vera e propria posizione di garanzia. Occorre peraltro ricordare che la National Science Foundation ha definito la medicina alternativa come l’insieme di “tutti quei trattamenti che non hanno mostrato alcuna efficacia quando sottoposti a verifica scientifica”.

Il terapeuta consigliò alla famiglia cure ayurvediche, e ciò ha comportato il decesso del paziente, un minore a lui affidato dalla famiglia che pur accettava, anzi auspicava, l’accesso a cure alternative. Orbene, si è detto, quand’anche i genitori di un minore richiedano cure alternative alla medicina tradizionale o le accettino, vi è responsabilità del medico per la conseguenza negativa del mancato ricorso o della interruzione delle terapie tradizionali. A questi, infatti, il compito di prospettare la possibile inidoneità della terapia ayurvedica – o di altre cure non tradizionali e non riconosciute univocamente secondo letteratura scientifica e linee guida approvate dalla comunità scientifica stessa, – considerata di per sè sola insufficiente a garantire soluzioni terapeutiche realmente alternative a quella tradizionale e dunque le reali conseguenze cui potrebbe condurre l’abbandono del percorso terapeutico tradizionale.

E sul medico, nei casi più complicati, grava anche il dovere – a fronte di una scelta genitoriale orientata verso opzioni rischiose per la salute del figlio minorenne – di coinvolgere nel processo decisionale i soggetti istituzionali preposti alla tutela pubblica del minore (il medico di base; il giudice tutelare; etc.).

Questo perché si pretende un dialogo giuridicamente corretto e sostanzialmente più proficuo per l’individuazione del migliore interesse del minore. In altre parole mai il medico potrà ritenersi non responsabile quando si sia reso inadempiente dei propri obblighi giuridici di efficace intervento terapeutico: adempimento costantemente esigibile sin dal primo intervento operato.

Quando un’aggressione infettiva, come nel caso esaminato, non sia stata adeguatamente fronteggiata con la necessaria terapia antibiotica (scientificamente sperimentata come efficace ai fini del contenimento del rischio infettivo) nella specie sospesa non può che esservi colpa di chi ha consigliato e prescritto cure alternative.

Ciò posto, tenuto conto dell’avvenuta sottrazione del paziente alla necessaria copertura antibiotica e l’omissione dei periodici controlli medici hanno aggravato il quadro generale rendendo indifeso il minore mentre si sarebbe richiesta una decisa risposta terapeutica.

Come si vede, quindi, senza minimamente voler condannare pregiudizialmente percorsi alternativi alla medicina tradizionale che oggi si stanno facendo strada nel nostro sistema direi anche culturale, certamente è necessario comprendere che, in quell’ambito, nel meccanismo di valutazione sperimentale, i risultati non hanno mai, in pieno superato la prova scientifica e, quindi, occorre usare una davvero profonda cautela nell’intraprendere strade nuove, definite, ad esempio nel sistema sanitario statunitense, “complementari”.

Ma su tutto non bisogna mai dimenticare che la salute è un bene primario per l’individuo e proprio per questi i medici devono aver consapevolezza della importanza di una piena informazione che hanno dovere di dare al paziente, accompagnandolo in ogni momento della malattia.