L'alternativa ai dazi

dazi imposti su acciaio e alluminio dagli Stati Uniti sono la risposta sbagliata a un problema realmente esistente che è quello dei divari di costo della vita e del lavoro tra diversi Paesi. Perché sbagliata? Perché si tratta di un atto ostile di un Paese nei confronti dell'altro che naturalmente genera delle ritorsioni.

E' come se un pugile su un ring desse un pugno all'avversario pensando di non ricevere un colpo in risposta. Quindi i dazi producono una serie di azioni e reazioni che alla fine fanno stare tutti peggio.

La risposta corretta dovrebbe essere un'altra, quella che da tempo proponiamo come economia civile, ovvero la “green social consumption tax“, ovvero la rimodulazione dell'Iva che tenga conto della responsabilità sociale e ambientale delle filiere. In altre parole, dovrebbe avvenire che in un accordo di commercio internazionale si definissero gli standard di lavoro decente dei diversi Paesi e per prodotti che viaggiano al di sotto di quegli standard applicare delle imposte sui consumi più elevate.

Tutto questo non sarebbe un atto ostile nei confronti di un determinato Paese perché lo stesso principio si dovrebbe applicare verso le proprie filiere. Se un prodotto, per esempio, viene da Rosarno, piuttosto che dal Tavoliere di Foggia o dalla zona di Pachino e con un livello di dignità del lavoro molto bassa, anche il prodotto italiano pagherebbe questa tassa più elevata.

Obiettivo realizzabile? In realtà si può far tutto e si può fare in un singolo Paese. La possibilità di rimodulare l'Iva, infatti, compete agli Stati nazionali. Faccio degli esempi: per due volte Legambiente ha proposto di abbassare l'Iva al 4% sui motori elettrici e nel Contratto di governo M5S-Lega c'è una proposta per l'Iva a zero sui prodotti per l'infanzia. Del resto, all'interno di certe forchette le aliquote dell'Iva sono diverse nei Paesi europei.