La Siria e le guerre che verranno

Con il passare dei giorni, l’opinione pubblica internazionale e la maggior parte dei mass media sembrano dubitare sempre di più dell’attacco chimico di Douma (cittadina del Ghouta orientale dove si annidano le ultime sacche di resistenza anti-Assad), con cui l’esercito siriano l’8 aprile avrebbe fatto strage di civili scatenando come risposta l’attacco missilistico di Usa, Francia e Gran Bretagna di sabato scorso. Il semplice fatto che la rappresaglia sia scattata prima di qualsiasi verifica internazionale, sulla base soltanto delle accuse mosse dalla Casa Bianca e a ruota dall’Eliseo e Downing Street, lascia ragionevolmente supporre che vi sia un significato geopolitico che prescinde ampiamente dalla veridicità di questo presunto attacco con i gas tossici.

Le dichiarazioni politiche e il lavoro diplomatico delle ultime ore non aiutano però a chiarire molto il quadro: pochi giorni prima dell’attacco, Trump aveva annunciato che gli Usa si sarebbero presto ritirati dalla Siria; dopo la rapida azione militare, Macron ha affermato di aver convinto Trump a restare, per essere smentito oggi dallo stesso Presidente USA che ha ribadito il progressivo disimpegno degli Stati Uniti. Gli stessi risultati dell’operazione sono controversi: mentre il Pentagono parla di “missione compiuta”, con tutti i target colpiti, la Russia sostiene che 71 missili su 103 sono stati intercettati dal sistema di difesa siriano. Tutto ciò consegna all’opinione pubblica europea e americana l’immagine di un Occidente molto confuso, privo non solo di una visione comune fra i suoi diversi Paesi, ma anche di una strategia precisa e coerente da parte della sua potenza trainante.

La Russia e l’Iran, di fronte a tale improvvisazione occidentale, hanno gioco facile nel presentarsi come i Paesi più accorti ed equilibrati, che sì sostengono il controverso regime di Damasco ma sono essenzialmente gli artefici della sconfitta dell’Isis e hanno riportato l’ordine in Siria. In realtà l’annientamento del sedicente Stato Islamico si deve anche ai bombardamenti statunitensi dei mesi scorsi (operazione Inherent Resolve), nonché al contributo fondamentale dei Curdi sul campo di battaglia, finanziati e addestrati dagli Occidentali.

Per converso vanno tenute in conto le ragioni geo-strategiche di russi e iraniani: Mosca è in Siria principalmente per garantirsi e ampliare la sua presenza marittimo-militare nel Mediterraneo (essendo il porto siriano di Tartus l’unico suo punto di appoggio nell’area), oltre che per ritagliarsi il prestigio internazionale del mediatore fra le parti con l’organizzazione, in particolare, dei colloqui di Astana. Per l’Iran, la Siria rientra invece nel progetto di creazione di un “corridoio pan-sciita”, che passa per il rafforzamento della componente sciita in Iraq, quello di Hezbollah in Libano e anche della minoranza sciita Houthi in Yemen. Oltre a investire miliardi nel conflitto siriano a prendere il controllo degli apparati militari di Damasco, l’Iran si è impegnato nel ricollocamento di popolazioni sciite in quelle zone del Sud della Siria abitate in precedenza da sunniti, proprio al fine farne una continuazione geografica del Libano e una roccaforte contro il grande nemico di Teheran: Israele.

Secondo molti osservatori, a causa dell’aumento di peso dell’Iran in Siria, il prossimo possibile conflitto in vista è proprio una guerra Israele-Hezbollah sulle alture del Golan, che significa una guerra per procura dell’Iran contro lo Stato ebraico. Non è un caso che Tel Aviv abbia rivendicato il recente raid sulla base iraniana T-4 in Siria, come risposta allo sconfinamento di un drone iraniano a febbraio scorso. In questo intricato contesto, “l'attacco occidentale alla Siria” sembra avere un significato più che altro “psicologico”: quello di ricordare a russi e iraniani che l’Occidente esiste ancora e vuole avere voce in capitolo nel puzzle siriano anche al di là della dimensione bellica.

Tutti gli studiosi militari sanno che il dopoguerra è sempre parte integrante della guerra. In Siria non scoppierà forse il conflitto mondiale fra Usa e Russia ma restano vive e rafforzate le tensioni tra Iran e Israele, Iran e Arabia Saudita, Turchia e movimento nazionale curdo. E' per questo che, più che i missili, sarebbe più che mai necessario un incessante lavorìo diplomatico per la ricostruzione internazionale della Siria e per un negoziato che accompagni la sua transizione politica: unici argini ai possibili e probabili conflitti che si annunciano all’orizzonte.