La polveriera serba

Continuano a crescere di intensità le proteste che stanno paralizzando la Serbia. Il movimento “1 di 5 milioni” è sceso in piazza anche durante lo scorso fine settimana pronto a perseguire gli obiettivi dichiarati: le dimissioni del Presidente Aleksandr Vučić, un ritorno alle urne e, soprattutto, una maggiore libertà di stampa che, a detta dei manifestanti, sembra essere sempre più nelle mani dell’entourage del potente uomo politico del Partito Popolare, eletto Presidente appena qualche anno fa dopo aver ricoperto la carica di Primo Ministro. I manifestanti hanno, infatti, preso di mira la sede della RTS, la tv di Stato, protestando contro la faziosità mediatica che ha portato l’establishment attualmente al potere a prendere lentamente le redini del Paese avvalendosi di una “zona grigia” compresa tra democrazia e regime che spesso contraddistingue le società in transizione post-socialista.

La Serbia post-jugoslava non fa eccezione: Vučić è effettivamente riuscito, con metodi non sempre leciti, a monopolizzare le istituzioni convincendo i serbi in occasioni di diverse tornate elettorali attraverso una strategia di restaurazione del prestigio di Belgrado nella regione balcanica, nonché con l’aiuto di un certo pragmatismo in politica estera: apertura all’Europa e totale collaborazione con le istituzioni euroatlantiche ma al contempo rinsaldamento del legame storico-culturale intrattenuto con Mosca. La crisi economica e le trattative per il riconoscimento del Kosovo in atto tra Vučić e Thaçi hanno rappresentato la goccia capace di far traboccare il vaso. Le opposizioni sono riuscite, anche solo in maniera parziale, a veicolare ed incanalare dalla loro parte le “guide” del movimento che sembra avere le idee molto chiare sul futuro del Paese: “Vučić je gotov”, ossia Vučić è finito, così come scandito dalla folla che sembra assomigliare sempre più a quella che negli anni ’90 protestava contro le politiche sempre più deleteree di Slobodan Milošević.

La storia politica di Vučić è cosa nota, così come è nota la sua furbizia nel riuscire a mascherare all’Europa intera la sua natura. Mentre colleghi come Orban sono stati etichettati come dichiarati avversari dell’Unione Europea, Aleksandr Vučić ha sempre riscosso il favore delle istituzioni di Bruxelles in quanto leader tutto sommato attento alle esigenze europee nella regione. Le ultime manovre, però, hanno registrato una netta virata in direzione russa: esercitazioni militari congiunte, gli accordi commerciali tra la Gazprom e la NišGaz per il transito del Turkish Stream, il tutto suggellato dalla visita di Putin a Belgrado, osannato dalla folla serba come Zar di un mondo pan-ortodosso ritrovatosi a ribollire dopo tanti anni di magra, condottiero capace addirittura di placare la rabbia dei serbi nei confronti dell’ormai ingombrante Presidente.

L’aria respirata, in ogni caso, non è rassicurante. Centinaia sono le persone in stato di fermo scontratesi contro la Gendarmarija serba, delle quali è stato subito richiesto il rilascio, onde evitare che la situazione degeneri ulteriormente. Le opposizioni al potere costituito oramai dettano gli ultimatum, ora starà all’abilità politica e diplomatica di colui che presiede la Skupština (ossia l’organo legislativo serbo) ripristinare una situazione di tensione che, al momento, sembrerebbe non accettare alcuna mediazione senza le dimissioni di Vučić. Un nuovo inquietante retroscena, infatti, sta salendo alla ribalta nelle ultime ore: il portale Govori Srbija ha pubblicato del materiale ritraente le “menti” delle recenti proteste incontrare diversi membri dell’ambasciata statunitense negli ambienti lounge riservati dell’Hotel Hilton di Belgrado. Tra i funzionari più attivi il terzo segretario dell’ambasciata, Katarina Virginia Valzak, ripresa spesso a colloquiare con Sergej Trifunović e Jelena Anasonović, rappresentanti del movimento di protesta “1 di 5 milioni”. Agli incontri era presente di persona anche David Gehrenbek, ambasciatore Usa. Il materiale video sta circolando nel Paese insinuando un dubbio piuttosto lecito: e se dietro le proteste ci fossero gli stessi che bombardarono brutalmente Belgrado nel marzo di venti anni fa? Sembra proprio che il Paese stia andando incontro ad una “Rivoluzione Arancione” che sarà estremamente difficile domare.