La pace non è un regalo

Mai come quest’anno il momento delle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Pace è stato più opportuno. Parlare di pace al termine del summit dell’Onu su immigrati e rifugiati e durante la difficile tregua per un cessate il fuoco in Siria, è stato di fondamentale importanza, quantomeno per richiamare i diversi Paesi ad uno sforzo comune maggiore, in grado di mettere la parola fine ad un conflitto come quello siriano – e a tutte le guerre sparse per il pianeta – che non conosce sosta, che produce lauti affari ai trafficanti e all’industria delle armi, e che ha già sparso tanto sangue innocente, soprattutto tra la popolazione civile e tra cui molte donne e bambini.

Nella risoluzione che istituisce la Giornata della Pace, le Nazioni Unite invitano tutti i paesi a rispettare la cessazione delle ostilità e a commemorare la ricorrenza attraverso attività educative e di sensibilizzazione alla pace. Quest’anno il tema è stato “Gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile: costruire strade di pace”, una roadmap per la pace e la prosperità di tutte le nazioni. “La pace – ha affermato per l’occasione il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon – non arriva per caso, non è un regalo. La pace è qualcosa per la quale dobbiamo lavorare ogni giorno”. Su questa linea siamo anche noi donne della Cisl.

La guerra, infatti, è la negazione di ogni diritto e di ogni progresso, lavorare per la pace significa dunque creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile e duraturo, dove problemi come la povertà, la fame, la corruzione, la riduzione delle risorse naturali e l’ineguaglianza sociale, vere cause di conflitto, non trovino più spazio. Come si può pensare ad una vita normale quando la prima preoccupazione è sopravvivere? Quando c’è la paura di uscire di casa e non tornare più, magari vittima per caso di una bomba? Come si può fermare la marea umana in cerca di sicurezza e protezione che ogni giorno si avventura per terra e per mare sapendo di poter morire? Come si può pensare di garantire il diritto allo studio alle bambine e ai bambini abbandonati a se stessi e costretti anch’essi a fuggire? Proprio in questa settimana l’Unhcr, Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, ha rilanciato l’allarme sottolineando che oltre la metà dei 6 milioni di migranti in età scolare in tutto il mondo non vanno a scuola, 3,7 milioni i bambini e le bambine che non ricevono alcuna istruzione primaria o secondaria nei Paesi in via di sviluppo, 900mila solo in Siria.

Un rifugiato su cento, continua il rapporto dell’Agenzia Onu, riesce ad entrare all’università, contro l’uno su tre della popolazione giovanile “normale”. “Troppo spesso – secondo l’Alto commissario Filippo Grandi – l’educazione per i bambini e le bambine rifugiati/e viene considerata un lusso, un optional extra, non essenziale, dopo il cibo, l’acqua, un posto dove stare e le cure mediche”. Inoltre, la mancanza di un’istruzione di base “può essere enormemente dannosa, non solo per gli individui, ma anche per le loro famiglie e per le società, perpetuando cicli di conflitto e ulteriori movimenti di massa di persone”. Come si può pensare, infine, di promuovere il principio di parità e pari opportunità tra le donne e le bambine in quelle aree disastrate? Sono tutti quesiti che interrogano le nostre coscienze e a cui ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo, in particolare gli Organismi e le Istituzioni preposte, insieme a tutta la classe politica che ha grande responsabilità in merito, per trovare soluzioni di pace possibili.

Una cosa comunque è certa, la loro causa, la guerra, una condizione che pone gli individui gli uni contro gli altri, che crea miseria e disgregazione sociale, dove i più vulnerabili, anziani, donne, bambini e bambine rischiano di più in termini di sfruttamento e violenza in tutte le forme, soprattutto durante i loro viaggi della speranza. Bene, pertanto, l’impegno preso da molti paesi al recente summit Onu di New York, tra cui l’Italia, di aumentare gli aiuti umanitari globali per i rifugiati e la promessa di raddoppiare i numeri dell’accoglienza portandoli a più di 360 mila già da quest’anno. Parimenti all’accoglienza, però, auspichiamo che aumenti la volontà e la capacità progettuale per una soluzione diplomatica saggia e definitiva, con il coinvolgimento dei Paesi direttamente interessati, dei conflitti che restano la causa principale della fuga di migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini. Perché, come ha detto Papa Francesco, “solo la pace è santa e non la guerra!”.