La lotta della Chiesa contro i mafiosi

Il fenomeno mafioso nei molteplici aspetti e nelle diverse nomenclature è ormai molto diffuso e va oltre i confini della Sicilia e dell’Italia stessa fino a radicarsi in territori una volta insospettabili e in tutti gli ambiti legati soprattutto al potere economico: mercato della droga, sfruttamento della prostituzione, vari tipi di racket dall’usura al pizzo, infiltrazioni nella vita politica e gestione del potere a livello locale e nazionale. In questi ultimi anni si è aperto un dibattito, all’interno e all’esterno della Chiesa, sulla possibilità di una scomunica automatica per gli appartenenti alle varie mafie inflitta direttamente dal Papa e valida in tutto il mondo. Questa discussione è stata corroborata  dalla forte presa di posizione di Papa Francesco a Sibari il 21 giugno 2014: ”…Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati…”.  

In questo intervento pontificio c’è l’esplicita condanna non solo del comportamento mafioso con la commissione individuale di determinati atti criminali tipici della mafia, ma anche della stessa appartenenza all’organizzazione mafiosa. Papa Francesco non fa solo notare il peccato grave in cui si trovano i mafiosi, ma che questa condizione di peccato dei mafiosi è anche un delitto penale che comporta la scomunica, perché c’è l’idolatria, l’adorazione del male, del denaro che prende il posto dell’adorazione per il Signore. Il Papa coinvolge nello stesso atto di condanna sia la ’ndrangheta sia la mafia, la camorra, la sacra corona unita e altre forme di criminalità organizzata di stampo mafioso, come a voler dire che si tratta di piaghe che non conoscono cittadinanza.  

La questione fu affrontata nel Dibattito Internazionale sulla Corruzione che si tenne in Vaticano il 15 giugno 2017.  Il cardinale Peter K.A Turkson prefetto del nuovo Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale sostenne che, in mancanza di una vera conversione, “sono scomunicati i mafiosi intransigenti che restano nel proprio errore”. Alcuni degli intervenuti fecero notare che non sarebbe comprensibile che un delitto di stampo mafioso nelle Diocesi della Sicilia, della Calabria o della Campania sia punito con la scomunica, mentre se commesso in un’altra regione possa restare indifferente alla pena non essendoci una stessa sanzione canonica. La conferenza episcopale siciliana in una lettera collettiva già nel 1944, pur senza espliciti riferimenti alla mafia, dichiarava: ” Per parte nostra…dichiariamo colpiti di scomunica…tutti quelli che si fanno rei di rapina o di omicidio ingiusto o volontario”. Nel 1952 nel Concilio plenario siculo questa scomunica fu estesa ai mandanti e ai collaboratori. Nel 1982 si scomunicava chi si fosse macchiato di crimini violenti che hanno “come matrice la mafia e la nefasta mentalità che la muove e la facilita”. 

I vescovi siciliani precisavano che la condizione di scomunicato emergerà quando l’autore di tali delitti si accosterà alla confessione per essere assolto dal peccato”. In questo caso il sacerdote informerà il penitente che non può assolverlo in quanto colpito dalla scomunica, da cui soli i vescovi possono assolverlo. La scomunica comminata è una pena medicinale, è un monito in vista di un possibile ravvedimento e della conversione. La scomunica è stata ribadita dai vescovi della Sicilia il 13 aprile 1994 con affermazioni molto forti: ”La mafia appartiene, senza possibilità di eccezioni, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno. Per questa ragione, tutti quelli che in qualsiasi modo deliberatamente fanno parte della mafia e a essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa devono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, di essere fuori dalla comunione della sua Chiesa”.

Ci si deve domandare perché la scomunica non valga in quei luoghi in cui vi sia la presenza di associazioni mafiose, i cui aderenti non sono invece colpiti da scomunica in assenza di un decreto formale da parte dei singoli vescovi o delle conferenze regionali. Per questo motivo si auspica che fosse emanata una legge penale di carattere universale, che dovrebbe contenere una configurazione del delitto canonico di mafia la più ampia possibile, appunto perché il fenomeno assume oggi contorni globali. In una società secolarizzata, è importante far prendere coscienza dell’appartenenza ecclesiale, mettendo in chiaro che c’è una scomunica di fatto che entra “in vigore” anche a prescindere dalla scomunica comminata con un decreto giuridico: consiste nell’auto-esclusione dalla comunione con il Signore e con i suoi discepoli, cui si “condanna” chi preferisce incancrenirsi nell’appartenenza alla mafia. Se non si aiutano le persone a recuperare il senso dell’appartenenza alla Chiesa, l’esclusione giuridica dalla comunione ecclesiale, inflitta con una sanzione canonica, rischierà di essere non compresa – prima ancora che temuta o contestata – da parte delle persone affiliate alla mafia.