La lezione indimenticata di Paolo Borsellino
rano le 16:58 quando i sismografi, a distanza di poco più di cinquanta giorni, tornarono a registrare un movimento del terreno a Palermo. Non era un terremoto ma, come nel caso di Capaci il 23 maggio, uno strage mafiosa. L’ennesima. Obiettivo dell’esplosione il giudice Paolo Borsellino che si era recato dalla madre per una visita. Appena arrivato davanti al portone, una Fiat 126 saltò in aria. Con Paolo Borsellino persero la vita sul colpo gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Ventisette anni dopo e quattro processi celebrati a Caltanissetta, non abbiamo né i veri colpevoli nè la piena verità sui fatti.
Alcune certezze, solo questo. Come il falso pentito Scarantino, dei colpevoli poi reputati innocenti e un’infinità di incongruenze. C’è di certo che Borsellino non venne mai udito dai colleghi di Caltanissetta a cui fece richiesta per dir loro alcuni fatti che riteneva utili al fine di far luce sulla strage di Capaci, quella che spezzò la vita al collega Giovanni Falcone. E d’altronde che meglio di lui ne conosceva i segreti. Ma nulla. Nulla, così come la verità su quell’accellerazione data da cosa nostra alla morte di Borsellino. Cosa aveva scoperto il Giudice più esposto dopo la morte di Falcone? Rimane un altro dei misteri in questa partita fra pezzi di stato: quelli deviati che emergono dalla sentenza “Trattativa” e quelli che hanno sempre lottato per la verità. E la Giustizia. Non soltanto per Borsellino e i “suoi” ragazzi ma per un Paese, il nostro, che merita di conoscere i fatti realmente accaduti e con essi le responsabilità anche se indicibili. Solo così potremo voltare pagina, nel ricordo di questi martiri.
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