La dittatura dell’eutanasia

La vita umana è il bene più prezioso, non solo quella dell’intera umanità ma anche quella di ognuno, non solo per sé stessi ma anche per coloro che abbiamo intorno e per la società intera. Gli stati riconoscendo questo la tutelano riconoscendo un male anche il suicidio. Resta tuttavia un’ampia libertà personale nel ricercare o meno il bene per sé stessi e anche per i propri figli.

Tuttavia le istituzioni per coloro che non sono in grado di decidere da soli, in primo luogo i minori, pongono in atto tutele supplementari che in casi estremi possono arrivare a togliere la potestà genitoriale. Già la legalizzazione dell’aborto rappresenta una drammatica eccezione in cui lo Stato non solo chiude gli occhi e si rende complice ma arriva ad organizzare come prestazione e come diritto la soppressione del bambino quando ancora vive nel seno materno.

Quando un figlio sta male ci si rivolge ai medici, si prendono in grande considerazione le loro valutazioni e proposte terapeutiche. Se non offrono speranze facilmente si ricorre ad altri medici e non ci si dà pace sperando di trovare quello giusto, quello che possa mettere in atto qualche terapia, anche sperimentale, pur di fare qualcosa. Così hanno fatto i genitori di Charlie, arrivando col loro appello fino agli Stati Uniti dove hanno trovato una speranza.

Il problema è che tale non è stata ritenuta dai medici londinesi che hanno in cura il figlio. Non ritengono idonea la terapia, pensano che sia dannosa e rischierebbe di prolungare una penosa esistenza. Discordanti le fonti. Secondo alcuni il farmaco americano sarebbe stato sperimentato solo sui topi e per una patologia diversa da quella di cui soffre il figlio. Altri sarebbero disponibili a curarlo con buone speranze di riuscita.

Il fatto nuovo e ritenuto ai più di una gravità inaudita, sta nell’aver impedito ai genitori di emigrare. Non per motivi economici, hanno infatti raccolto la somma necessaria, ma perché non lo ritengono il bene di Charlie. Sostengono infatti che il piccolo stia soffrendo e che la scelta dei genitori non farebbe che prolungare ed aumentare le sue sofferenze. Il problema sta nel fatto che i genitori non condividono tale posizione. Così i medici hanno ritenuto la questione così importante da convincerne i giudici che di fatto hanno messo il minore sotto tutela, espropriando il padre e la madre delle loro facoltà.

Poiché, secondo i medici, Charlie non avrebbe alcuna speranza di guarigione, il suo bene sarebbe quello di terminare al più presto la sua vita. Non solo non mettendo in atto altri presidi terapeutici ma togliendo quello che ad oggi gli consente di vivere: la ventilazione artificiale. E’ evidente che tale sostegno vitale era stato prima ritenuto idoneo, se no non sarebbe stato messo in atto. Ora lo si sta per togliere. Perché? Il motivo è che si ritiene Charlie stia soffrendo troppo, di una sofferenza indegna del vivere, quindi meglio per lui morire.

Ci sono situazioni di fine vita in cui può essere ritenuto accettabile non mettere in atto tutte le soluzioni possibili. Quando queste gravino sulla persona più di quanto possano essere i benefici, prolungando di poco la vita con notevoli sofferenze aggiunte dal percorso intrapreso. Può essere eticamente accettabile anche togliere presidi terapeutici che risultino più gravosi del previsto fino a divenire insopportabili, anche a prezzo della vita. In questi casi la persona verrebbe a morire a causa della patologia in atto riconoscendo di non poter far nulla di buono.

Ora a Charlie si sta per togliere la ventilazione artificiale non perché questa gli provochi fastidio ma perché questa gli consente di prolungare la vita, quindi, secondo medici e giudici, le sue sofferenze.

Siamo chiaramente di fronte ad un caso di eutanasia con l’aggravante della contrarietà dei diretti interessati, con l’obbligo di eseguirla da parte delle istituzioni. Si ripercorre così per un singolo caso quanto Hitler impose per migliaia di disabili. Pur perseguendo il fine buono di porre fine alle sofferenze si utilizza un mezzo malvagio: quello di sopprimere la vita. Ciò non sarebbe stato accettabile neppure se richiesto dai genitori ma in questo caso si provoca una insanabile frattura.

Le istituzioni prendono per buona la posizione dei medici secondo cui Charlie starebbe soffrendo troppo. Ignorano invece quella dei genitori tanto da espropriarli del proprio ruolo. Non pare invece si tenga conto del fatto che con le cure palliative si possa oggi lenire ogni dolore arrivando fino alla sedazione profonda, una sorta di anestesia. Nessuno sembra invece preoccuparsi della sofferenza dei genitori e di tutti coloro che si stanno prendendo a cuore la situazione.

Infatti la scelta dei genitori di rendere pubblica la loro vicenda famigliare ha fatto scattare una gara di solidarietà raccogliendo i soldi necessari per curarlo negli Usa, ma soprattutto con accorati appelli e insistenti preghiere.

Non si è ottenuto un cambio di direzione ma solo una proroga della condanna con la possibilità data ai genitori di portare a casa il piccolo Charlie piuttosto che lasciarlo morire solo in ospedale.

In queste settimane, in Italia, si sta discutendo al Senato un disegno di legge per la totale libertà di rifiutare o sospendere qualunque cura, su sé stessi e i propri tutelati. Uno stato che condanna a morte e un altro che se ne lava le mani.