La cultura del sospetto

La vicenda relativa all’avviso per il finanziamento di “progetti volti alla prevenzione e al contrasto della violenza alle donne, anche in attuazione della convenzione di Istanbul”, su cui ci siamo già soffermati anche noi, al fine di chiarire importi economici, decurtazioni e ripartizione di risorse aggiuntive, spiegate tra l’altro nei dettagli in uno scambio di lettere tra alcune associazioni e il Dipartimento per le Pari Opportunità, si è colorita di nuovi particolari che puntano più a gettare discreto e sospetti su alcuni enti e associazioni di area cattolica piuttosto che concentrarsi sulle legittime richieste di accelerazione di un iter di accredito delle somme stanziate che risulta lunghissimo e che può mettere a rischio la realizzazione stessa di alcune proposte progettuali.

Sulle pagine di un noto quotidiano è montata in questi giorni nuovamente la polemica sulla ripartizione delle risorse economiche destinate alle linee d’intervento previste dal citato avviso, considerata troppo sbilanciata a favore della linea d’intervento per progetti di animazione, comunicazione e sensibilizzazione territoriale rivolti alla prevenzione della violenza di genere e molto meno per altre linee destinate a migliorare le modalità di inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza (A), a fornire supporto alle donne e a coloro che si identificano nel genere femminile detenute (B), ad attuare programmi di trattamento degli uomini maltrattanti (C), a progetti per migliorare le capacità di presa in carico delle donne migranti (D) e a progetti innovativi per fornire protezione alle donne sottoposte anche a violenza c.d. “economica” (E).

Molto probabilmente, le delucidazioni fornite dal Dipartimento Pari Opportunità non sono bastate a convincere le associazioni in questione sui criteri dallo stesso utilizzati e orientati – come ha dichiarato lo stesso Dipartimento – il più possibile all’equilibrio tra i diversi progetti presentati, tenendo conto anche della grande quantità di essi e puntando soprattutto su qualità, trasparenza e innovazione degli interventi. Da qui, però, a ironizzare sulla serietà e correttezza di alcuni enti cattolici ce ne passa. Enti che da anni, e con apprezzabili risultati, continuano ad occuparsi delle persone più emarginate e bisognose di questo nostro Paese. Come Coordinamento donne, non possiamo accettare questo clima di sospetto orientato soprattutto a creare divisioni tra buoni (associazioni laiche) e cattivi/favoriti (associazioni cattoliche) che, oltre a ciò, usufruirebbero – sempre secondo lo stesso quotidiano – di fondi statali anziché metterne dei propri. Come se il mondo dell’associazionismo cattolico operasse solo facendo leva sulle finanze dello Stato e come se non fosse parte integrante di questo Stato. Come dire che la Caritas, dopo anni di onorata carriera nel servizio civile degli obiettori di coscienza, e con importanti investimenti a riguardo, non potesse partecipare con propri progetti ai bandi del servizio civile volontario.

Le facili polemiche, senza riscontri oggettivi, non ci interessano, noi continueremo a lavorare anche con quel mondo, con cui abbiamo condiviso e condividiamo l’impegno proteso alla promozione della persona umana in tutte le sue sfaccettature. Come la grande battaglia di civiltà che da qualche anno stiamo portando avanti insieme all’Associazione Papa Giovanni XXIII contro la prostituzione e la sua legalizzazione, contro la tratta delle schiave del sesso, troppo spesso poco più che bambine, aderendo alla campagna “Questo è il mio corpo”, finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica contro le moderne forme di schiavitù e per sostenere l’approvazione dellaproposta di legge “Bini” che mira a colpire il cliente, colui che continua ad alimentare questo mercato disumano. Con questi obiettivi stiamo attraversando l’Italia in lungo e in largo. Abbiamo lanciato la campagna in seno al XVIII Congresso confederale Cisl e abbiamo organizzato finora, a partire dal mese di ottobre 2017, oltre 25 iniziative tra incontri e momenti di riflessione, per spiegare a tutti che la prostituzione non è qualcosa di tollerabile perché antica ma un male da estirpare perché continua ad offendere l'umana essenza della persona. Concentriamoci, pertanto, sulle cose serie, senza lasciare spazio alle illazioni che mirano a cancellare in un sol colpo quella condivisione di azioni e strategie a lungo costruita.