Italia-Germania: la differenza nella gestione dell’economia e delle crisi

Se Atene piange Sparta non ride. La citazione tratta dai nostri lontani studi “rende l’idea”, ma si presta solo in parte al caso dei rapporti tra la Germania e l’Italia, perché la sola rivalità esistente tra questi due grandi paesi riguarda ormai soltanto alcune storiche e combattute “finali” dei Campionati mondiali di calcio. L’industria manifatturiera italiana è la seconda in Europa soprattutto per una sua caratteristica: l’interdipendenza con la struttura industriale tedesca. Gli apparati produttivi della Germania sono in sinergia con quelli del Nord Italia. E questa è una delle principali motivazioni per cui non è riuscita ad attecchire una propensione sovranista, emersa dalle urne nel 2018, corredata da una polemica contro Angela Merkel, individuata come la madrina di una politica del rigore (salvo essere clamorosamente smentita quando la Cancelliera di ferro fu determinante nel convincere i c.d. paesi frugali ad aver fiducia nell’Italia a cui venne destinata una quota consistente del NGEU, grazie alle risorse – non lo si dimentichi mai – messe a disposizione dai contribuenti di quei paesi).

Oggi sappiamo che il tallone di Achille delle economie europee riguarda la dipendenza energetica dalle forniture russe: una condizione, aggravatasi negli ultimi anni, poi divenuta potenzialmente esiziale quando alla situazione di crisi e di scompensi ereditata dalla pandemia, si è aggiunta l’aggressione russa all’Ucraina in conseguenza della quale le forniture del gas sono divenute un’arma a disposizione di Putin contro l’Occidente. La Germania soffre di più la crisi energetica perché più elevati erano (e rimangono) i livelli di dipendenza dalle forniture russe, il cui incremento negli ultimi anni è dipeso dalla scelta tutta ideologica (sulla quale è in atto un ripensamento) dell’uscita dal nucleare.

Ma anche nella gestione dell’emergenza il governo italiano è stato più attivo di quello tedesco. Mario Draghi lo ha voluto ricordare nel suo intervento al Meeting di Rimini: “In pochi mesi, abbiamo ridotto in modo significativo le importazioni di gas dalla Russia, un cambio radicale nella politica energetica italiana. Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture – dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati: l’anno scorso, circa il 40% delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà. Abbiamo accelerato lo sviluppo delle rinnovabili – essenziali per ridurre la nostra vulnerabilità energetica, per abbattere le emissioni’’. Diversamente dalla Germania l’Italia dispone – seppure in misura limitata – di fonti energetiche proprie, che devono essere riattivate al più presto, perché fino ad ora è prevalsa un’ideologia malata che ha condannato il Paese all’immobilismo. Si pensi al blocco delle estrazioni dai siti in attività e delle trivellazioni alla ricerca di nuovi giacimenti. Si pensi ancora all’ostilità nei confronti dei termovalorizzatori e dei degassificatori: un problema che ormai viene affidato al Parlamento e al governo che usciranno dalle elezioni.

Per fortuna il governo Draghi resterà in carica per il disbrigo degli affari correnti (secondo un’interpretazione abbastanza generosa), perché questi mesi sono decisivi per le decisioni che si andranno a prendere a livello europeo. Alcune di queste decisioni sono urgenti per reagire nel miglior modo possibile alla guerra del gas avviata da Putin. Nessun paese, in Europa, può affrontare queste sfide da solo. I costi della fattura energetica stanno per diventare insostenibili, nonostante che il governo – come ha ricordato Draghi nel suo discorso in Senato del 20 luglio – abbia finanziato misure di ristoro per 33 miliardi in poco più di un anno, quasi due punti percentuali di PIL, nonostante i nostri margini di finanza pubblica fossero ristretti. Lo abbiamo potuto fare grazie a una ritrovata credibilità collettiva, che ha contenuto l’aumento del costo del debito anche in una fase di rialzo dei tassi d’interesse’’. In una situazione come l’attuale nessuno si salva da solo. Se l’Europa sarà in grado di creare sinergia nei prossimi mesi per fronteggiare la crisi, sarà possibile creare una prospettiva diversa nel medio periodo sulla base di una politica energetica diversificata e strutturata. In un orizzonte che guarda agli Stati che si affacciano sul Mediterraneo e alle risorse dell’Africa, l’Italia potrebbe ricoprire una funzione centrale, divenire l’hub di una nuova politica energetica che sappia coniugare, grazie alle tecnologie disponibili, lo sviluppo e la tutela dell’ambiente.