L’Italia e la febbre dei dati di settembre

Il 1° settembre è stato un giorno importante per misurare la febbre dell’Italia mentre si guarda con preoccupazione all’andamento del contagio incrociando le dita nel timore che prima o poi si renda necessario il ricorso ad una altra fase di lockdown, dopo la quale resterebbe da augurarsi che esista il sacramento dell’estrema unzione anche per gli Stati.

L’Istat ha reso noti i dati sul mercato del lavoro e sui trend dell’economia. In quelle stesse ore il commissario europeo Paolo Gentiloni (uno che conosce i suoi polli) invitava, durante l’audizione programmata, i membri delle Commissioni riunite a non fingere di non aver capito quali saranno le regole dell’ex Recovery Fund e del Sure.

“Guai a pensare che usiamo 200 miliardi di euro per ridurre le tasse” – ha ricordato Gentiloni -. “Almeno il 35%” delle spese deve essere destinato alla “transizione ambientale”. E tutte le spese non dovranno andare in direzione contraria all’obiettivo della transizione ecologica.

Con la stessa energia il commissario ha ribadito che non ci saranno anticipi al buio, a meno che prima della fine dell’anno il Paese  non riesca a mettersi avanti con il lavoro presentando progetti  di riforme  che sono una cosa ben diversa da un elenco di titoli. Se ciò sarà fatto non escluso che nella primavera prossima arrivino dei primi acconti. Poi Gentiloni ha aggiunto: “Ci sono 36 miliardi del Mes che vi aspettano; sono pronto cassa. Che cosa aspettate?’’.

E’ difficile trovare spiegazioni per il comportamento del governo italiano a proposito di questo dossier, soprattutto in vista della prossima apertura delle scuole in condizioni di sicurezza e nel possibile riprodursi di un nuovo capitolo dell’emergenza sanitaria, anche se in forma meno violenta e meno sconosciuta. Si dice che dopo le elezioni regionali la situazione sarà sbloccata. Resta però singolare che ci siano forze politiche che temano di perdere voti se si adeguano agli interessi del Paese, rinunciando ad una presa di posizione fatta di solo puntiglio.

Per quanto riguarda l’occupazione a luglio le statistiche fanno registrare finalmente un’inversione di segno sul piano occupazionale: gli occupati aumentano di 85.000 unità (80mila sono donne), pari allo +0,4%. Ma da febbraio ad oggi sono stati persi 500mila posti di lavoro, nonostante la cig per altre 18 settimane e il blocco dei licenziamenti che, nel decreto Agosto, segue come un’ombra l’utilizzo della cassa integrazione. Come ha fatto notare nel suo rapporto periodico la Fondazione Anna Kuliscioff migliora il ‘’tiraggio’’ della cig (ovvero l’uso effettivo rispetto alle ore autorizzate).

‘’Già a partire da Maggio scrive la Fondazione’’ le ore lavorate pro capite erano aumentate e le assenze dal lavoro diminuite: si tratta di due dati che illustrano l’andamento dell’utilizzo reale della Cassa Integrazione, a prescindere dalle ore richieste e autorizzate, e mostrano chiaramente come stia diminuendo il ricorso alla Cassa’’. Secondo l’Istituto di statistica, il calo del Pil nel secondo trimestre dell’anno (da aprile a giugno) è stato pari al 12,8% rispetto al trimestre precedente e al 17,7% rispetto all’anno precedente.

La stima preliminare, che era stata diffusa il 31 luglio scorso, evidenziava invece una contrazione del 12,4% su base congiunturale e del 17,3% su base tendenziale. Il peggioramento nei dati definitivi risulta quindi dello 0,4% sia su base tendenziale sia su base congiunturale. Ma evidentemente su questo dato pesano molto i primi mesi del trimestre. E soprattutto a luglio le cose sembrano essere migliorate se si osservano i dati dell’occupazione da cui risulta un boom del lavoro dipendente a tempo indeterminato: +138mila rispetto a giugno, e addirittura +181mila rispetto a giugno 2019. Resta da capire quanti di questi rapporti di lavoro siano a part time e quanti siano rapporti parcheggiati in cig o ibernati nel freezer blocco dei licenziamenti.