Il sogno americano nell’era di Trump

“Oggi abbiamo riscoperto la grande macchina dell’America e dell’industria Usa. L’America è tornata a vincere come mai prima d’ora” ha detto Trump al World economic forum nel 2020.

Per la valutazione dei risultati in ambito economico del presidente Trump verranno presi dati che vanno dal 2017, anno di insediamento, al 2019. Il 2020 non verrà preso in considerazione, in quanto a causa della pandemia COVID19 sarebbe necessario fare delle considerazioni ulteriori e che esulano dal contesto prettamente economico.

E numerosi sembrano i dati che danno ragione al presidente americano: il tasso di occupazione che passa dal 70,11% al 71,36%, il GDP (l’equivalente anglosassone del PIL) che cresce di più del 2% annuo, l’indice S&P 500 nel 2019 ha visto un guadagno di circa il 30%, e dal momento dell’elezione di oltre il 50% (dato che è più del doppio rispetto alla media di crescita del S&P 500 – che è del 23% – per i primi tre anni di mandato di tutti i presidenti americani dal 1928 a oggi), tasso di povertà all’11,8% nel 2018 (numero per la prima volta più basso rispetto al dato del 2007, anno che ha preceduto la recessione economica iniziata nel 2008).

Da questi numeri sembrerebbe che la politica di Trump sia stata un successo, tuttavia, come sempre i numeri in economia, non bisogna limitarsi a leggerli, ma devono essere anche interpretati e contestualizzati.

Difatti, se tutti questi numeri vengono inseriti all’interno di una serie storica più ampia, si potrà notare che si vanno ad inserire all’interno di un trend positivo ormai decennale, partito nel 2010. Difatti, per quanto riguarda il tasso di occupazione si era passati dal 66,7% del 2010 al 69,4% del 2016, il tasso di povertà ha visto un calo costante ed ininterrotto per 4 anni consecutivi, mentre il GDP è cresciuto tra il 2010 e il 2016 del 2,15%. Inoltre, nonostante una buona crescita, il disavanzo federale in tre anni di Trump è aumento di 2,8 trillioni, +1,2 trilioni solo nel 2019, il livello più alto raggiunto in 12 mesi dal 2012, soldi usati per finanziare uno shock fiscale che, rispetto ai risultati ottenuti, risulta essere abbastanza deludente. Inoltre, il Tax Cuts and Jobs Act del 2017, la riforma fiscale del governo Trump, avrebbe dovuto incentivare gli investimenti e, come affermato anche dal premio Nobel Stiglitz, si è “limitata” ad innescare un record storico di acquisti di azioni nel 2018. Un indicatore importante rispetto al benessere di una popolazione vi è quello riguardante l’aspettativa di vita dei cittadini. Questa ha visto un calo negli anni tra i 2015 e il 2017, con un incremento importante di quelle “morti per la disperazione” (dovute ad alcool, droga e suicidio) che nel 2018 hanno raggiunto le 158.000 unità rispetto alle 65.000 del 1995.

In conclusione, quindi si può dire che la politica economica di Trump, quantomeno fino al 2019, sia stata una politica che ha cavalcato l’onda di un decennio di crescita, ma che non è stata in grado di raggiungere, probabilmente, gli obiettivi che un deficit come quello realizzato dall’amministrazione repubblicana avrebbe dovuto garantire. E andando ancor di più nello specifico, la politica di Trump sembra aver favorito i mercati finanziari e le grandi aziende, piuttosto che la popolazione, andando ad esacerbare iniquità e problematiche già presenti all’interno del complesso tessuto sociale statunitense.