Il sapore di una sconfitta per tutti

L’epilogo della vicenda del piccolo Charlie rattrista. Invita al raccoglimento per le sofferenze e il preannuncio di morte di questa creatura innocente. Richiama alla solidarietà verso i genitori che ne hanno difeso, per quanto hanno potuto, con amore e tenacia le prospettive di vita. Ricorda che non tutto, nella salute, nella vita e nella morte, è nelle nostre mani, né in quelle della medicina e della scienza, neppure in quelle della legge e dei giudici. Resterebbe solamente il sapore di una sconfitta per tutti, siano essi gli attori dell’intera vicenda o coloro che ne hanno seguito la evoluzione, se tutto questo scolorisse nelle tracce della cronaca o rimanesse negli archivi della memoria, e non suscitasse invece una riflessione ed un approfondimento delle questioni che ha aperto e che lascia aperte, rendendo carico di emozioni ma vano il sacrificio di Charlie.

È da chiedersi, anzitutto, come affrontare la malattia che ferisce senza speranza di guarigione l’integrità della persona, che tale è anche il più piccolo e inconsapevole degli umani, e che sicuramente o a breve porterà alla morte. Affiora subito una distinzione di sostanza, e non di parole, tra l’accanimento nelle terapie, la desistenza o l’abbandono delle cure. A nessuno può essere negato il diritto ad essere curato sino alla morte naturale anche se non vi è speranza di guarigione, ricorrendo alle terapie appropriate, sino a consentire l’uso compassionevole di farmaci che ancora non hanno completato la sperimentazione clinica, che comportano rischi ed i cui effetti sono incerti, quando non vi sia altra speranza. È quello che o genitori avrebbero voluto tempestivamente fare per il piccolo Charlie. D’altra parte risponde altrettanto alla deontologia medica, e al buon diritto, evitare l’accanimento, praticando atti terapeutici inappropriati o sproporzionati, dai quali non ci si possa attendere un effettivo beneficio per la salute o un miglioramento delle condizioni di vita, pur assicurando sempre le cure palliative e la terapia del dolore.

Sono principi enunciati con chiarezza dal nostro codice di deontologia medica, approvato nel 2014, che afferma come primo suo principio che è dovere del medico la tutela della vita, della salute, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona. Tutto ciò in un rapporto di reciproca fiducia tra medico e paziente, di colloquio, comprensione e condivisione. Proprio quello che sembra essere mancato tra i sanitari ed i genitori di Charlie, ai quali spetta la naturale rappresentanza del loro figlio e la valutazione del suo interesse, che, salvo manifesta irragionevolezza, non può essere sostituita da altri.

In un contesto nel quale sarebbe necessaria una comunanza di valutazioni, ancorate alle molte sfumature di ciascun singolo caso, si è ricercata una soluzione autoritativa affidata al giudice per affermare che nell’interesse del minore i sanitari avrebbero potuto, anzi dovuto, “staccare la spina”. L’espressione e semplificazione giornalistica non consente di valutare se questo aveva il significato di cessare, contro la volontà dei genitori, da un infruttuoso accanimento terapeutico o desistere dalle cure e dal sostegno vitale per una persona considerata senza speranza. La differenza, non da poco, è quella che corre tra l’accompagnare alla morte naturale, alleviando con le cure la sofferenza, o provocare la morte.

Ne è seguita un’azione dei genitori di Charlie per ottenere la sperimentazione di nuove terapie, che era stata rifiutata dai sanitari. La loro successiva rinuncia a proseguire la loro azione, considerando oramai tardive le terapie, apre nuovi problemi. Quale sarà l’atteggiamento dei medici inglesi nei confronti di Charlie? Saranno mantenuti i supporti vitali, accompagnandolo fino alla morte, ma non provocandola, piuttosto curando e alleviando il dolore?

Il nostro codice di deontologia medica afferma un principio corretto: il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte.

È da sperare che questa vicenda, che ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, solleciti la coscienza di ciascuno ed inviti all’approfondimento dei problemi che mostra, aprendo all’ascolto reciproco, nella convinzione che avendo cura della vita dei più deboli si salvaguarda la dignità di ogni persona.