Il problema del Meridione sono le politiche per il Sud

Si potrebbe iniziare a parlare della questione meridionale con un “sin dalla mia infanzia…” ma sarebbe riduttivo, poiché è sin dall’infanzia dell’Italia stessa che si parla del rilancio del sud del Paese. Ultimamente sia i sindacati sia le forze di governo hanno, infatti, ricominciato a parlare di “piano per il sud” come vero strumento per il rilancio dell’Italia, ritornello questo che, personalmente, sento da che ho memoria e che non ha mai risolto alcunché salvo erogare a pioggia miliardi di euro sottratti alle risorse erariali e alle regioni, oggi, produttrici di ricchezza, acuendo le tensioni tra queste e quelle consumatrici.

Storicamente la prima legge speciale in materia economica per il rilancio del sud risale al governo Zanardelli nei primi anni del 1900 e da lì è stato un susseguirsi di azioni e di trasferimenti ser stimolare la crescita economica delle regioni meridionali, invano, sottraendo risorse, invece, alle regioni più virtuose e al sistema economico attraverso la tassazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un nord industrializzato, dinamico ma boccheggiante sotto la stretta fiscale dell’Italia e un sud sovvenzionato, incapace di crescere e, generalmente, di produrre ricchezza. Sia chiaro che questo non è un discorso da Lega d’antan ma una veloce immagine dello stato dell’arte di un Paese, letteralmente, spaccato in due e di una terra magnifica che non riesce ad esprimere le sue potenzialità. I dati, infatti, sono impietosi. Prendendo il dato normalizzato del PIL pro capite 2017, che in Italia è di circa 28.500 euro a livello medio, il livello delle regioni del sud è pari a 18.900 euro. La distanza è estremamente notevole ma diventa ancor più terrificante se confrontata con le regioni di nord-ovest dove arriva a 35.200 euro o, ancora, con la provincia autonoma di Bolzano dove il valore riscontrato è pari a 42.300 euro. Nel 2018, poi, la crescita è stata dello 0.6% contro lo 0.8% del Paese e un 1.4% del nord-ovest ma già nei primi sei mesi di quest’anno i valori hanno virato in negativo segnando l’ennesima recessione per l’area.

Della cosa se ne è occupato il Manifesto fornendo un’esauriente fotografia della situazione tra gli allarmi sul livello della sanità e della scuola e i dati occupazionali che sono assai più preoccupanti dei toni trionfalistici di certi esponenti politici. Infatti se pur vero che i dati recentemente diffusi parrebbero mostrare un miglioramento, occorrebbe anche considerare l’aspetto demografico: negli ultimi 15 anni le regioni del sud hanno perso quasi un milione di abitanti netti, cifra pari all’intera popolazione della città di Napoli circa, e sono in calo i contratti stabili mentre in aumento quelli a tempo determinato (dati ISTAT): tutto questo si unisce al dato sui consumi, stagnante e ancora ben al di sotto dei livelli pre-crisi (già. Invece, superati al nord) e ai dati di produttività sopra riportati.

Se anche ci fosse, quindi, un aumento degli impiegati a livello assoluto, a questo non si assocerebbe un aumento di produttività o di reddito aggregato cosa che rende difficile pensare a un dato strutturale ma, al più, a un evento che risente della stagionalità (leggi turismo e agricoltura), credibilmente, invece, è ipotizzabile che l’eventuale miglioramento degli indici occupazionali possa essere dovuto a un calo della popolazione attiva e, quindi, di fatto a un evento illusorio. L’interpretazione, ovviamente, è fatta con l’accetta, perché si sta parlando di un dato mensile che è influenzato dalla stagionalità e dalla congiuntura mentre i veri ragionamenti andrebbero fatti su dati normalizzati annui, quindi dopo il 31 dicembre di quest’anno ma dalla fotografia che questi delineano è possibile già analizzare perché l’idea, non certo innovativa, di un nuovo piano per il sud sia prospetticamente, inutile. Dopo quasi 120 anni di politiche per lo sviluppo del sud, infatti, il risultato è a dir poco deprimente e porta a un dubbio vero circa l’efficacia e persino l’opportunità di queste azioni. In effetti sin dall’epoca del citato governo Zanardelli al sud si sono veicolate risorse finanziarie e investimenti diretti dal centro senza mai fare un ragionamento di sistema.

Per valorizzare le potenzialità di tutto il territorio nazionale, non solo del sud, occorrerebbe pensare a una vera riforma sistemica della struttura del Paese, con meno burocrazia e più libertà (che fa rima, indissolubile, con responsabilità) nell’amministrazione locale, unito a un fisco più snello e “amico”. Ipotizziamo che domani la Calabria, ad esempio, possa godere di una maggiore autonomia finanziaria, anche nella fissazione delle aliquote e delle imposte sui consumi, facilitando l’impianto di nuove aziende, magari con crediti fiscali ad hoc, e spingendo sull’offerta turistica, non avrebbe più possibilità di crescita, attirando capitali e persone, rispetto al solito piano di sussidi?

Una struttura dello stato che conceda ampie autonomie locali, anche se non di stampo federale, e preveda il prelievo fiscale su più presidi di prelievo e di spesa coincidenti, ovviamente il tutto unito a un deciso snellimento burocratico e a una riduzione del prelievo su carburanti ed energia, sarebbe il vero volano per ripresa non solo del sud ma di tutta la nazione. L’affermazione non è certo campata per aria perché una forma di governo simile permetterebbe la creazione di un sistema virtuoso di concorrenza diretta fra le varie regioni italiane e non è detto che le più sviluppate possano essere in vantaggio poiché delle zone ancora “vergini” offrono da sempre maggiori opportunità rispetto a quelle ormai sature.

Le obiezioni sulle infiltrazioni della malavita e sulla corruzione, poi, decadrebbero, vista la vicinanza tra gli istituti dello stato e i cittadini che, di fatto, avrebbero un maggiore potere di controllo e, per questo, pure la responsabilità dell’eventuale mantenimento di un sistema illecito di governo dei territori. Sì, il vero freno alla crescita del meridione non è l’”ingordigia” del nord o la posizione geografica che, invece, potrebbe rappresentare un plus su tanti indirizzi di sviluppo ma è rappresentato dal paternalismo dello stato italiano che, attraverso le leggi speciali e i piani per il sud, tiene tutta l’area sotto tutela, impedendole di diventare adulta.