Il piccolo Giovannino è uno di noi

La storia di Giovannino non può non commuovere, toccando le corde più profonde dell’animo di chiunque, indipendentemente da appartenenze morali o religiose, e ci dà l’opportunità di esprimere qualche considerazione che ci aiuti a ritrovare la via della virtù iscritta nei nostri cuori. Una premessa è doverosa: non è compito nostro giudicare le persone e, quindi, anche gli attori di questa vicenda. Va ripetuto senza stancarsi mai: per noi cristiani il giudizio sulle persone spetta solo ed esclusivamente a Dio, unico vero e giusto Giudice. A noi è assegnato un altro compito: giudicare i fatti, le azioni, le condotte, esercitando la virtù del discernimento nel sostegno di ciò che è buono e giusto e nella condanna di ciò che è sbagliato, pericoloso e dannoso.

Questa coppia che, con fecondazione eterologa, ha messo al mondo un bimbo affetto da una grave malattia sistemica chiamata “ittiosi arcobaleno”, causa spesso di morte e/o di gravi disabilità, e che per questa ragione l’ha rifiutato ed abbandonato, non deve essere chiamata in giudizio da noi. Ma il fatto in sé, con i tanti aspetti che sono coinvolti, richiede certamente qualche riflessione, con la speranza che dal male si trovi la forza di cambiare rotta, approdando al bene.

Il primo giudizio negativo riguarda tutto ciò che gira intorno alla pratica della fecondazione artificiale. Partiamo dall’assunto fondamentale: il diritto al figlio non esiste e non esiste per nessuno, coppia etero o omosessuale che sia. Il ricorso all’ eterologa – comprando e selezionando gameti che provengono da un terzo attore – viene ancor più a ferire il dato naturale, che ha stabilito che è dall’atto di complementarietà sessuale uomo/donna che scaturisce il “miracolo” della vita. E’ un atto di amore l’unione dei corpi con l’intento di dare la vita; ma è altrettanto un atto di amore accettare di non poter avere figli, magari spendendosi in opere di bene sociale. Ed è un atto d’amore adottare dei bimbi che sono abbandonati che hanno il diritto (questo sì!) ad avere una famiglia.

Prescindendo dal sentimento personale – insondabile per sua natura – non è un atto di amore volere un figlio a tutti i costi: selezionando i gameti, eliminando gli embrioni imperfetti (viene chiamata tecnica di “diagnosi genetica pre-impianto”), comprando uteri disponibili. Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è per ciò stesso umanamente e moralmente accettabile. L’embrione, il feto, il bimbo non sono “cose”, “manufatti”, “scarti”, oggetti che possono essere gettati via se “riusciti male” o manipolati a piacimento. La storia di Giovannino sta lì come un macigno a dimostrare a tutti noi – e pare proprio che ce ne sia un bisogno enorme – quale tragica deriva si delinea con il delirio di onnipotenza che la cultura dell’individualismo sfrenato sta imponendo nella nostra società. Una volta di chiamava “eugenetica”. Oggi il politicamente corretto la chiama “autodeterminazione”. La sostanza è sempre la stessa: la cultura dello scarto e dell’arbitrio morale, che Papa Francesco non cessa mai di condannare.